Archivio categoria ‘Monumenti e Luoghi’

Abbadia Lariana: La Chiesa di San Lorenzo

domenica, Aprile 29, 2012 @ 07:04 PM
aggiunto da Abbadia

Abbadia Lariana - Parrocchia di San LorenzoS. Lorenzo è ricca di storia e di arte: nel luogo dove sorge, esisteva, dal sec. VIII, un’abbazia benedettina dedicata a S. Pietro, che si ritiene fondata addirittura da Desiderio, re dei Longobardi.
Verso il sec. XII perse d’importanza, e il Tatti dice che “cadde e rovinò per decrepità”, facilmente la tracimazione del lago causò o affrettò la decadenza della chiesa.

Venne ricostruita nel sec. XIII dall’Ordine dei Padri Serviti, che la dedicarono ai SS. Vincenzo ed Anastasio.
Don Grisoni, nella sua cronaca parrocchiale, dice: “La tradizione vuole che Filippo Benizi membro e generale dei Serviti, fondati in Firenze nel 1233 dai sette Santi fondatori, viaggiando per l’Italia, fosse passato anche da queste parti e, trovata questa gente abbandonata, facesse sì che il vecchio monastero venisse riedificato con la chiesa, che venne dedicata ai SS. Martiri Vincenzo ed Anastasio, e da Abbazia dei Benedettini venisse cambiata in un priorato dei Padri Serviti”.

La chiesa ricostruita non doveva essere molto grande, ad una navata sola, come si vede in un disegno del 1700 presente nell’archivio parrocchiale. Il presbiterio, piuttosto piccolo, era di forma rettangolare. L’edificio risultava più basso, con tetto in travi di castano.

Nel 1788, i frati Serviti si trasferirono a Como, per ricongiungersi con i confratelli del convento di S. Gerolamo e vendettero il Conventino ai signori Bianchi, mentre la chiesa fu ceduta alla parrocchia, in quanto più grande e in migliore stato della chiesa di S. Lorenzo, che si trovava nella località ora chiamata Chiesa rotta.
Così cambiò ancora il santo titolare: i SS. Vincenzo ed Anastasio cedettero il posto a S. Lorenzo.
Qui venne portato l’altare ligneo barocco, che ancora si può ammirare, il crocifisso, la beata Vergine della Cintura e l’altare di S. Apollonia.

Interno Chiesa di San Lorenzo
La popolazione aumentava e la chiesa ormai era insufficiente, per cui nel 1888 si incominciò un lavoro di ingrandimento e di restauro: si abbattè la volta per innalzare il soffitto dell’edificio e lo si ricostruì inchiodando alle travi piccole listerelle di legno intonacate con stabilitura; sfondando le pareti laterali, si aggiunsero due navate, che purtroppo restano nascoste al celebrante dai quattro mastodontici pilastri, che sostengono il tetto; il presbitero rettangolare venne ingrandito con un’abside semicircolare.
La chiesa, però, non aveva la sagrestia; si rimediò all’inconveniente con un tratto di cantina donato dal sig. Angelo Lafranconi, divenuto proprietario del Conventino. La volta e le pareti furono affrescate e decorate da Luigi Tagliaferri nel 1915.
Il tetto di tegole di Voghera non resistette a lungo e l’acqua penetrata nella chiesa rovinò le decorazioni.

Negli anni ’60 Oreste Broggi, decoratore di Abbadia, rinfrescò l’interno, ma il tetto lasciava sempre penetrare acqua, per cui il deterioramento continuò: si decise di rifarlo completamente con ardesia della Valmalenco nel 1980, ma ormai le decorazioni e gli intonaci erano ridotti in cattivo stato.
Agli inizi del  nuovo secolo una importante opera di restauro ha rimediato al degrado

Fonti: Abbadia Oggi – anno VI – N. 4 – 21 Luglio 1987

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Lierna – I Mulini e Lavatoi lungo il torrente Buria

sabato, Marzo 3, 2012 @ 05:03 PM
aggiunto da Lierna

La passeggiata da Sornico a Grumo è accompagnata lungo tutto il percorso dalla valle del torrente Bùria che ha origine dai monti sopra i Saioli, scende e lambisce le frazioni meridionali di Lierna.

Benché attualmente la valle sia un luogo piuttosto trascurato e in molti punti cementificato, in passato le acque del torrente, che scorre impetuoso soltanto nei periodi piovosi, e dei suoi affluenti (Acqua del Gesso e Valle di Lembra) ebbero una grande importanza per la vita economica e quotidiana del nostro paese.

 Il lavatoio di Sornico
A Sornico incontriamo un lavatoio, alimentato dall’Acqua del Gesso che riversa poi lo scarico nella Valle di Buria.

  Il mulino di Sornico
Già nel Settecento l’acqua della Valle di Buria veniva sfruttata con incanalamenti e serbatoi lungo il suo percorso per il funzionamento di tre mulini ad una sola ruota, posti sul lato sud della valle.
Il Catasto Teresiano del 1722  li indica come appartenenti ai Venini, Rosaspini e Bonesatti, e due di essi sono ancora visibili, anche se la loro destinazione è completamente cambiata.
La loro superficie a quel tempo  era soltanto di due tavole, equivalenti a mq 54 circa; il loro valore capitale era di una ventina di scudi con una rendita annua di poche lire.

Il primo mulino, posto all’inizio della via della Valle di Basso di fronte al lavatoio, è ora una casa ristrutturata a due piani, ma fino a poco tempo fa era conosciuto come “Mulino dei Migèta”.

Nella prima metà dell’Ottocento lo stabile, utilizzato come filanda e incannatoio, apparteneva ad Antonio Rosaspini, Primo Deputato del paese, uomo benestante, borioso e molto chiacchierato (forse da questo personaggio deriva l’epiteto firr  affibbiato  agli abitanti della parte sud di Lierna…).

Nel 1873 l’incannatoio possedeva quattro banchi con 50 fusi ciascuno e dava lavoro a dodici dipendenti per 234 giornate all’anno. Continuò ad essere proprietà dei Rosaspini Migèta e a funzionare fino al 1925 circa.

Proseguendo pochi passi lungo un sentiero troviamo un  minuscolo rustico in ristrutturazione, anch’esso adibito anticamente a mulino, come dimostrano alcuni manufatti e resti di canali in pietra posti nelle vicinanze.

 Il lavatoio di Mugiasco
Una parte di quest’acqua, attraverso una tubazione sotterranea, raggiunge il lavatoio coperto di Mugiasco costruito nel 1843 come si legge all’esterno della vasca.

 Il mulino di Mugiasco
Scendendo ancora incontriamo un altro rustico con resti di macine, situato quasi nell’alveo della valle. E’ ciò che rimane di un manufatto ottocentesco conosciuto come “Mulino del Viulèta” o “Mulino della Serèna Viulèta” (personaggi della famiglia Barindelli liernese). Pare che questo luogo e l’acqua  dell’invaso fossero utilizzati anche per tenere al fresco il latte prodotto nei dintorni e destinato alla caseificazione.

Il lavatoio di Casate
A Casate troviamo un terzo lavatoio con una graziosa cappelletta votiva del 1865 e un elaborato percorso idrico alimentato da un rigagnolo che scende dalla collina.

Il mulino di Casate
Il terzo mulino citato nel Catasto Teresiano era situato a Casate circa all’inizio dell’attuale via del Torchio. Non ne rimangono tracce visibili ma qui, fino ad una cinquantina di anni or sono, era attivo un frantoio appartenente alla famiglia Pensa (un certo Giuàn de l’Oli ne era proprietario) ed è probabile che si trattasse del mulino settecentesco.

Nelle vicinanze, fino ad alcuni anni fa esisteva anche un serbatoio a vasca che raccoglieva le acque utilizzate come forza motrice per la sottostante filanda di Grumo. L’azienda era sorta nel 1870 circa ad opera di Giovanni Battista Sala di Lecco, proprietario di altri filatoi nel lecchese di cui il più importante era quello situato nell’ex-Seminario di Castello. La filanda di Lierna era equipaggiata con 40 fornelli a carbone e 4 banchi d’incannatura con 75 fusi ciascuno. Era attiva per 236 giornate annue e impiegava 55 operai per la trattura, 24 per l’incannatura, pagati lire 0,55 giornaliere, 4 assistenti pagati lire 1,15 e un direttore che percepiva lire 1.100 annue.

Chiusa nel 1933, nel periodo della seconda guerra mondiale venne riutilizzata come fabbrica di concimi e mangimi, per poi essere trasformata nel 1975 in un residence che conserva ancora nella struttura qualche traccia dell’antica e ormai dimenticata filanda.

 Testo di Franca Panizza          

Lierna – La Chiesetta di San Martino a Grumo

venerdì, Marzo 2, 2012 @ 06:03 PM
aggiunto da Lierna

Costituita da un semplice edificio con campanile, preceduto da un portico ornato da un  ingenuo affresco raffigurante le Anime Purganti.
Al di sopra delle due finestre che affiancano l’entrata, fino al 1950 circa, erano presenti due nicchie in cui erano collocate delle ossa umane che si diceva fossero state ritrovate nei campi circostanti in tempi molto lontani.
All’interno l’altare è costruito con marmi policromi e la pala affrescata rappresenta la Vergine con S. Martino e S. Ambrogio.
Al di sopra un affresco ottocentesco raffigura il Transito di S. Giuseppe.
La citazione più antica di questo luogo è  in un rogito notarile del 1436 riguardante un terreno appartenente alla chiesa di S. Martino di Lierna, in località Prato Grasso.
Dopo due secoli, alla fine del Seicento, il parroco di Lierna scrive che durante le processione delle Rogazioni si visitavano i resti dell’antico oratorio di S. Martino.
Nel 1899 il vescovo Valfrè di Bonzo si limita ad un cenno alla nuova chiesetta ricostruita, scrivendo che era stata eretta nel 1868 con il contributo dei liernesi emigrati nelle Americhe, per onorare la tomba dei padri, nel luogo ove era posto l’antico cimitero.

L’Oratorio è legato a leggende riguardanti “morti miracolosi” che  apparivano in sogno ai liernesi nei momenti di difficoltà fornendo consigli utili, prevedevano il futuro, intervenivano in caso di bisogno ed  erano considerati potenti numi tutelari del paese, degni di preci e rispetto.
Per propiziare le anime di questi defunti all’inizio del secolo scorso venivano effettuate delle processioni domenicali a questa chiesa, dopo i vespri pomeridiani.
Nelle località vicine rimangono ancora dicerie riguardanti fiammelle tremolanti avvistate durante la notte nel prato intorno alla chiesa, ritrovamenti di teschi, racconti di antichi morti di peste, di colera e di altri morbi e memoria di semplici sepolture coperte con lastre di pietra, senza corredi funebri, scoperte a fine Ottocento nei terreni attorno alla chiesetta.
Uno scritto del 1789 del curato Antonio Casartelli, conservato nell’archivio parrocchiale, ha infine chiarito l’origine di questi racconti.
Nel gennaio di quell’anno, mentre venivano eseguiti degli scavi nel fondo di S. Martino, sterile e infestato da spine e ceppi di rovere, dove rimaneva solo una lapide scoperta che copriva un piccolo sepolcro, si iniziarono a trovare numerose tombe antiche contenenti cadaveri umani.
I sepolcri erano costituiti semplicemente da due lastre di pietra e una più lunga sopra il cadavere.
Le pietre furono portare in casa parrocchiale dove servirono a pavimentare il portico d’ingresso e l’aia nel cortile, mentre le ossa vennero deposte in una cappelletta vicina alla strada, rinchiusa con ferrata e rete metallica. L’edicola venne poi decorata con le effigi della B.V. del Rosario, di S. Ambrogio e S. Martino per mantenere memoria dell’antico oratorio pre-esistente e del relativo cimitero.

A cura di Franca Panizza

Fonti:
– Archivio parrocchiale di Lierna

– Archivio diocesano di Como.

Lierna – San Michele a Sornico

venerdì, Marzo 2, 2012 @ 06:03 PM
aggiunto da Lierna

L’antico oratorio di San Miche a Sornico, di probabile  origine Longobarda e appartenente fino al 1202 al monastero di San Dionigi di Milano, come alri edifici religiosi liernesi aveva subito una riedificazione all’inizio del Seicento.
L’edificio conserva un aspetto lindo e campestre ed è ravvivato sulla facciata esterna da un piccolo affresco del 1826 rappresentante San Michele arcangelo.
A destra della porta di ingresso è posta una pregevole pila per l’acqua benedetta in pietra scolpita.
La sacrestia fu edificata nel 1731 e conserva un lavabo in marmo rosso, Sulle pareti ai lati dell’altare sono appese due tele a olio di grandi dimensioni, di cui una datata 1688 raffigurante S. Antonio con le anime purganti, l’altra rappresentante S. Luigi di Tolosa.
L’altare è in marmi policromi con inserti in madreperla e sul muro di sfondo è dipinto un affresco tardo settecentesco con angeli e decorazioni floreali.
Sopra l’altare è posta una bella icona, non datata, rappresentante S. Michele con lo sfondo del lago e delle montagne locali. Un crocifisso ligneo dipinto, di epoca incerta, orna l’arcone del presbiterio.
Le prime notizie scritte sull’Oratorio risalgono al 1668; a quel tempo non aveva reddito, però deteneva in dote qualche piccola terra da cui si ricavano poche lire.
All’interno vi era un quadro dipinto con l’immagine di S.Michele, S. Carlo e S. Francesco con la beata vergine e Gesù infante.
Le processioni delle Rogazioni Minori e Maggiori facevano sosta a S. Michele nel Settecento.
Il Beneficio di S.Michele era costituito da alcune “pezze di terra” e da due case affittate, il cui reddito serviva alla celebrazione di 229 messe annue che permettavano la sopravvivenza di un sacerdote. Alla fine del Settecento la dote era formata da una stalla con cassina e da 47 pertiche di terreni coltivati, prati e pascoli lavorati dai massari, e da cui si ricavava pochissimo. Nel 1867 il Beneficio venne svincolato dalle ultime patrone milanesi Agliati, che cedettoro i beni costituenti la dote alla Fabbriceria Parrocchiale. Questa nel 1873 vendette all’asta pubblica i fondi ricavando 6.256 lire che davano un introito netto di 270 lire annue, sufficienti per la celebrazione di sole 50 messe.
Si mantenne però la consuetudine di celebrare la messa cantata il 29 Settembre giorno dell’apparizione del Santo titolare.

A cura di Franca Panizza

Abbadia Lariana – La Torraccia

lunedì, Febbraio 13, 2012 @ 05:02 AM
aggiunto da Abbadia

La Torraccia sorge isolata all’inizio del paese: venendo da Lecco, la si scorge lungo la sponda orientale del lago. Una fotografia presso l’archivio dei Musei di Lecco riproduce la Torre con un grande muro (antemurale) che si estende sino a lago; si trattava certamente di una fortificazione, forse di un piccolo castello.
Gli Annali Sacri di Como e della Diocesi fanno cenno alla presenza sulla sponda orientale del ramo di Lecco di un Castello Francione (sec. X); non ci sono documentazioni che lo possano comprovare, resta però il fatto che l’unico castello si poteva trovare dove ora è la Torraccia.
La vecchia Statale n. 36 era ricavata in trincea tra la torre e un piccolo spalto sul lago che aveva ancora tracce di mura ma la superstrada ha in seguito livellato il tutto.
Torraccia OggiLa struttura di forma quadrangolare è parzialmente diroccata ed è stata soggetta a pesanti interventi di restauro: di pianta rettangolare di 8,2×7,6 metri, con mura spesse alla base poco più di un metro ed una altezza di circa 14,2 metri, era organizzata in 5, massimo 6 piani; la sommità era protetta da  una copertura a capanna con le falde a spiovente verso nord e sud; infatti solo su dette fronti si nota la “scossalina” esterna a immorsatura di lastre di pietra che serviva a portare fuori l’acqua dai muri e a lanciarla sul terreno sottostante. Sui lati superstiti si aprono alcune ferritoie alte e strette con una luce di circa 5/6 Centimetri di larghezza e 64 Centimetri di altezza. La parete nord, è caratterizzata da due aperture poste in stretta diagonale, la parete a monte è caratterizzata invece da una singola apertura centrale, in prossimità della cima: tutte terminano con un arco a tutto sesto in materiale lapideo chiaro, probabilmente una maiolica. I due lati interessati dal crollo mostrano che esso è avvenuto lungo le finestre che vi si aprivano. Gli elementi lapidei esterni, composti principalmente da materiale calcareo e di cava non locale, sono ben lavorati e ben squadrati; alcuni massi angolari sono bugnati. Le pareti presentano un elevato numero di fori per l’incastro delle travi, alcuni utilizzati per la costruzione della torre, altri per sostenere i piani in cui era suddivisa la torre, altri ancora atti a sostenere la struttura lignea esterna di difesa.

La Torraccia, 1888 – in questa cartolina si vede la situazione prima della costruzione della ferrovia e c’è ancora la torre a lago

Eretta probabilmente attorno al XII secolo (con affinità costruttive con la torre di Teglio e con la torre Fiorenzana di Grono (CH)), la sua funzione è tra le più sconosciute del territorio e tra le più difficili da interpretare, soprattutto proprio perché non c’è più la possibilità di realizzare una adeguata indagine archeologica in quanto il terreno circostante è stato completamente compromesso con la costruzione dello svincolo della superstrada.
Come posto di avvistamento era assolutamente inutile in quanto esistono dei luoghi vicini sicuramente più idonei a tale funzione (la collina dove sorge la chiesa di S. Martino  o a Navegno alla cima di S. Lucio) e perchè non in diretta vista col paese e con le torri nelle immediate vicinanze; probabilmente controllava l’accesso ai territori a nord di Lecco forse con funzioni di difesa e di dazio, bloccando il passaggio a valle mediante una struttura in muratura fino alla riva del lago (ancora parzialmente visibile nelle vecchie foto prima della costruzione del nuovo sistema viario) e a monte mediante una palizzata (di cui se ne sono perse le tracce)

La Torraccia, 1962 – Come appariva prima del restauro

 

Scarica la pubblicazione sulla Torraccia a cura di – LA BADIA –

torraccia

Fonti:
Paolo Corti, “Le Fortificazioni di Abbadia – La Torraccia”,
– LA BADIA – Associazione per la Storia Locale

Antonio Balbiani, “Da Lierna ad Abbadia”, 1967 – Pietro Cairoli Editore
Antonio Balbiani, “Le fortificazioni di lecco e del mandellasco”, Abbadia Oggi – 21/11/1989
Cesare Alippi “L’arte della guerra sul Lario a cavallo dei secoli XI e XII”, 2011

Corenno Plinio: ville e opere minori

lunedì, Gennaio 30, 2012 @ 05:01 PM
aggiunto da admin

La darsena del Cagnola
Corenno - Darsena CandianiTra il gennaio 1809 e il novembre 1810 il conte Gianmario Andreani affidò al cugino, il famoso architetto Luigi Cagnola, noto esponente del neoclassicismo lombardo, la progettazione darsena del suo palazzo. È un edificio a parallelepipedo con copertura a padiglione in coppi e beole. Le testate d’angolo sono evidenziate da bugne lisce collegate da una semplice cornice di sottogronda. Il lato maggiore a lago è ornato da fornici ciechi evidenziati da una ghiera neoclassica. Nel lato sud, in fregio al molo, c’è l’apertura per le imbarcazioni con un arco di grande proporzioni completato da un possente cancello. L’intero edificio poggia su uno zoccolo in pietra da taglio con murature lievemente inclinate e coronate orizzontalmente da un cordone a profilo semicircolare. Completano la struttura i muraglioni del molo esterno di armoniose forme e finiture (testate semicircolari) e la semplice scala d’accesso ai natanti.

Il palazzo Candiani
Edifico compatto con portale centrale sovrastato da un robusto terrazzo e un’apertura doppia ad arco. A lago, nel lato sud, una stretta ala dell’edificio si protende sullo strapiombo sottostante, scavata al centro da una loggia con sei archi poggianti su colonnine e pilastri d’angolo in serizzo. Sempre sul lato a lago ci sono alcuni volumi coevi e altri aggiunti in diverse epoche. Delizioso è il doppio arco con colonnina con archi in cotto, una sorta di bifora a vela che immette ad un terrazzino belvedere.

Il molo
Corenno - Il MoloMentre oggi ospita principalmente imbarcazioni da diporto, il molo, fin dal Medioevo riparava dai venti barche da pesca e per il trasporto di merci e persone. Costituiva certamente un punto vitale per gli abitanti che vivevano della pesca e del commercio dei prodotti agricoli.
Rifatto tra il XIX e XX secolo nei muraglioni che si protendono nel lago entrambi a tenaglia, descrivendo un perimetro quadrangolare. Foto d’epoca testimoniano i lavori e lo stato ante quem dell’antico molo. Di esso rimane l’interessante scalea che dal pelo dell’acqua sale verso il decadente frantoio Andreani. I gradini, tagliati nella pietra viva con un perimetro arcuato sono stati ripetutamente restaurati con massellature in pietra. Il molo riparava le imbarcazioni da pesca e da diporto dalle acque del lago che , generalmente tranquillo, è a volte soggetto ad improvvisi venti burrascosi, che spezzano l’alternarsi della breva e del tivano. Fino alla metà del secolo scorso, Corenno viveva principalmente di pesca. (Casanova)

Le callogge
Corenno - le CalloggeLe ripide scalinate furono scavate direttamente nella roccia su cui poggia tutto il paese, dal lago fino alla piazzetta. A difesa di eventuali attacchi esistevano agli incroci delle vie alcune porte massicce da chiudere in caso di necessità. È ancora visibile qualche loro cardine.

La fontana e il lavatoio pubblici
Corenno - Fontana e LavatoioLa prima fontana fu edificata nella seconda metà del XIX secolo su progetto dell’ing. Leonardo Andreani. Si presentava come un’edicola con un unico fornice capace di accogliere e proteggere un avello. Con la costruzione delle bretella stradale degli anni Trenta, per bypassare il centro storico, la fontana andò demolita e venne interamente rifatta in pietra di Moltrasio sul lato est della sagrestia. A fianco della stessa c’è anche il cippo miliare della strada militare del Lombardo Veneto.
Il lavatoio, coevo alla fontana pubblica, era alimentato dalla stessa opera di adduzione acque. È concepito con due distinte vasche poste entro due nicchie voltate: una a botte ed una ad arco ribassato. Il progettista è lo stesso della fontana come pure il periodo storico della sua costruzione.
Nonostante oggi appaia come un’opera povera, scevra di ogni interesse artistico, costituisce una delle prime opere di urbanizzazione del borgo, unitamente al sagrato della chiesa, alla fontana pubblica, al molo e alla continua e capillare manutenzione che fu attuata per ordinare e mantenere le strade di Corenno in acciottolato, ordinato in spianate e cordonate (scalotte).

La cappelletta de la dosa
La strada provinciale che da Dervio si snoda verso Corenno, dopo aver curvato sulla destra, prosegue in linea retta sino alle prime case del paese. È su questa curva, lato a lago, che sorge una cappelletta votiva, detta Gisöö de la dosa, innalzata nel 1695. Il toponimo le venne attribuito per la sua collocazione al bordo di un dosso, sporgente a picco sul lago sottostante. Da qui si ammira la pittoresca veduta del porticciolo del paese, sovrastato da antiche case. La cappella si presenta con un’apertura ad arco ribassato, arretrato nella parete e affiancato da semplici piedritti. Il tetto è in piote, caratteristiche lastre di pietra locale che un tempo ricoprivano le case del lago. Internamente esiste ancora la mensa di un rustico altare in muratura. Le pareti, fino a poco tempo fa, recavano consistenti resti di affreschi: su quella di fondo una bella annunciazione, a destra San Carlo benedicente e sulla volta la raffigurazione di Dio contornato da nuvole e angioletti, che appoggia una mano sul mondo. Resti di cornici floreali legavano gli spazi dipinti. Lo stile delle pitture ricorda certe figure di Orazio Gentileschi, ma certamente appartengono alla mano di qualche pittore locale, che peregrinava lungo itinerari provinciali, accettando commissioni occasionali da parroci e confraternite e che si accontentava di modesti compensi e ospitalità.

Rimane comunque al viandante la soddisfazione di fare sosta in questo bellissimo punto panoramico, celebrato da vecchie e numerose stampe d’epoca per la sua pittoresca posizione e di volgere il pensiero a quei devoti corennesi che secoli or sono vollero esprimere, per gratitudine, la loro fede in modo così tangibile e duraturo. (Riduzione da Gian Luigi Uboldi)
Roberto Pozzi

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Abbadia Lariana – La Chiesa di San Martino

domenica, Gennaio 29, 2012 @ 09:01 PM
aggiunto da Abbadia

La chiesetta di San Martino, si trova all’inizio di Abbadia Lariana, su un poggio sopra la statale e ai piedi del Monte Borbino.
Rinnovata nel 1400, e registrata già nel XIII secolo nel “Liber notitiae Sanctorum Mediolani” fra i 10 edifici religiosi appartenenti all’abbazia di San Vincenzo, la Chiesa di San Martino ha origini ben più antiche.

Interno Chiesa di San Martino

L’edificio si presenta con pianta rettangolare, una sola navata a copertura lignea e con capriate a vista; le finestre, di forma allungata, sono di fattura medioevale.
A divisione della navata dall’abside é posta una parete in muratura, terminante a due spioventi, secondo la pendenza delle falde del tetto, nella quale é ricavata una apertura ad arco ogivale molto elegante e ben proporzionata.
L’abside, che é un poco più stretta della navata, é coperta con una bellissima volta a crociera costolonata e chiusa in centro da una chiave circolare con orlatura torica.
I costoloni, sono a sezione triangolare smussata, carattere proprio delle costruzioni gotiche;
Gli elementi citati, come la copertura lignea, la separazione con parete della navata dall’abside, la bella volta a crociera, inducono a datare la costruzione attorno al secolo XIII.
Chiesa San Martino: l'affresco perdutoPur essendo intitolata a S. Martino al suo interno si trovavano molti riferimenti di devozione alla Madonna.
Sopra l’altare a muro vi era uno splendido affresco della Crocefissione: tale opera è stata trafugata attorno al 1964.
La prima descrizione di questo dipinto la troviamo nelle visite del Vescovo Ninguarda del 1593: “detta chiesa ha una sola capella et uno altare posto nel muro, in volta, et non ha alcuna icona, ma in mezo nel muro vi sono dipinte il Crocifisso, et molte altre figure”.
Il Vescovo Carafino nel 1627 è più preciso nella descrizione e dice : ” un altare con sopra dipinto il Crocifisso, la Beata Vergine, Giovanni Evangelista, Maria Maddalena genuflessa ai piedi della croce, S. Martino e S. Rocco”. Sull’altare vi era anche una piccola tavola rotonda con dipinto a olio il volto di Maria, e sulla facciata dell’arco trionfale, a sinistra, si trovava un altro affresco con la Madonna in trono, le cui tracce erano ancora visibili nel 1970, e un’altra Madonna era dipinta presso la porta laterale.

San Martino: Affresco di MariaDa alcune fotografie possiamo vedere com’era il dipinto che si sviluppava sulla parete sopra l’altare. Sullo sfondo si vede una Gerusalemme con le torri e le mura. A sinistra del Crocefisso vediamo S. Martino e la Madonna; al centro, abbracciata alla croce, Maria Maddalena e sulla destra della croce S. Giovanni Evangelista e S. Rocco; tutto il dipinto è racchiuso da un’ampia fascia decorata. Sopra la croce otto piccoli angeli facevano da corona al Cristo crocefisso.

La chiesetta ha avuto, nel secolo scorso, una storia travagliata: è stata  alienata con atto notarile del notaio Antonio Berera il 1 marzo 1943, essendo stata sconsacrata con decreto vescovile il 5 dicembre 1941, riconosciuto agli effetti civili con Regio Decreto il 19 aprile 1942. La nuova proprietà  non ha mai provveduto a restaurare l’edificio, che in un certo periodo si è ridotto ad essere senza tetto, preda di vandali e saccheggiatori i quali, attorno al 1964, hanno addirittura trafugato l’affresco sopra l’altare.
Il 20 marzo 1973, la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici di Milano rispose alla richiesta di demolizione inoltrata dal Comune di Abbadia dicendo che, nonostante lo stabile fosse senza tetto e sembrasse un rudere, non avrebbe concesso la demolizione, imponendone il restauro.
In quel momento la proprietà era di una azienda di costruzioni, che aveva acquistato tutta la zona, e intendeva realizzare altri progetti, non certamente il restauro di S. Martino, anzi riuscì a regalare al comune la chiesa in abbandono il 7 dicembre 1977.
Il Comune fece rifare il tetto, salvò dalla distruzione l’edificio e fece anche un progetto di recupero delle sinopie degli affreschi che purtroppo non si è mai tradotto in realtà: attualmente il manufatto non è visitabile e tutte le finestre sono state murate per proteggere l’interno da possibili atti vandalici.

Affresco della chiesa di San Martino: stato attuale (2012)

Dalla radura, su cui sorge la chiesetta, naturale terrazza sul lago, si può godere uno splendido panorama: a sud, i resti della Torraccia, una antica fortificazione che proteggeva il territorio, i fianchi scoscesi e le rupi del Monte S. Martino, la città di Lecco; dall’altra parte del lago, il Monte Moregallo e i Corni di Canzo.
Questo luogo, è il punto di partenza del Sentiero del Viandante, una antica via di comunicazione che collega il basso Lario con Colico: all’interno del cortile che circonda la chiesa è stata predisposta un’area attrezzata in cui è possibile effettuare una sosta prima di affrontare la camminata.

Fonti:
Camilla Candiani, “IMMAGINI della devozione Mariana in Abbadia nei secoli scorsi”,
2003 – LA BADIA – Associazione per la Storia Locale

Antonio Balbiani, “Da Lierna ad Abbadia”, 1967 – Pietro Cairoli Editore
“Abbadia Oggi ” – ANNO VIII – N 2 – BIMESTRALE – 21 MARZO 1989

Chiesa di Corenno Plinio: La Madonna in trono tra San Rocco e San Sebastiano

sabato, Gennaio 28, 2012 @ 08:01 PM
aggiunto da admin

Chiesa di Corenno Plinio: madonna in trono

L’affresco cinquecentesco rappresenta la Madonna assisa su un monumentale trono mentre regge su un ginocchio il piccolo Gesù benedicente. È affiancata dai due santi protettori per eccellenza: Rocco e Sebastiano. Una turba di angioletti a coppie festeggia la solennità della scena. Se ne possono ammirare sette: due sorreggono le estremità di una grande tela panneggiata simile al conopeo o padiglione di un altare che funge da sfondo al trono, altri due angioletti inginocchiati e con abiti svolazzanti sostengono la corona sopra il capo di Maria, un’altra copia inginocchiata sul bordo superiore del trono è in atteggiamento di preghiera, infine un angioletto con lo sguardo trasognato suona solitario uno strumento a corde seduto sul gradino ai piedi della Vergine.

San Rocco è rivolto verso la Madonna: porta sul petto la veronica (velo con l’immagine del volto di Cristo) e le conchiglie di Santiago di Compostela, simbolo dei pellegrini di cui è il protettore. Il suo cappello è fissato al bordone. (cfr. approf. 6). Il culto a san Rocco come protettore contro le pesti e le epidemie si diffuse presto nel nord d’Italia e soppiantò lentamente il culto dell’atletico soldato romano san Sebastiano. Nell’affresco il santo è rappresentato a sinistra del trono addossato come un giovane ignudo legato a una colonna e con frecce conficcate nel petto, nel ventre e in una gamba.

chiesa di Corenno Plinio: Madonna in trono - dettaglioL’affresco è contenuto in una nicchia quadrilatera le cui pareti sono leggermente strombate. L’insieme è impreziosito da colonne (trompe d’oeil) pure decorate da finte marmorizzazioni e da clipei che contengono un cherubino. A sua volta la nicchia è contornata da una incorniciatura a carattere architettonico: due colonne laterali, decorate con ricercatezza, poggiano ognuna su un plinto e reggono la fastosa trabeazione, secondo un tipico gusto di un maturo Rinascimento. Sopra la trabeazione corre un complesso fregio culminante con due puttini che sostengono un tondo con lo stemma degli Andreani. Al centro è dipinto un cartiglio con un’iscrizione su quattro righe: “Sigismondo Andrianus, medico (fisicus) eresse questo nell’anno 1538”. Lo stemma[1] degli Andreani, composto dal leone rampante dorato verso sinistra, castello d’argento e pali rossi e blu, è stranamente presentato a forma di testa di cavallo. Questo affresco era l’unico visibile nella chiesa prima dei restauri del 1966. È possibile che il volto di san Rocco sia proprio quello del committente.

Chiesa di Corenno Plinio: Fregio Andreani

Si osservino una serie di dettagli dell’affresco:

  • La Madonna indossa un mantello blu con orlo dorato su un semplice vestito rosso. Il bianco velo che incornicia il volto fa risaltare maggiormente la dolcezza dello sguardo rassicurante che accompagna il devoto in qualsiasi parte si collochi. È singolare che questa tecnica, divenuta famosa nel celebre quadro della Gioconda, compaia in questo ben più modesto affresco corennese. Il visitatore di oggi non può che pensare agli innumerevoli sguardi supplichevoli dei devoti che si sono soffermati sugli occhi penetranti di questa Madonna. Maria si presenta con il suo gesto materno di sorreggere amorevolmente con la destra il corpo del bimbo e con la sinistra il suo piccolo piede. Si ha l’impressione che questa giovane donna, nonostante la corona piuttosto lontana dal suo capo e una semplice aureola, rappresenti e sia percepita dalle altre donne come la “sorella di tutte le madri”.
  • Il Bambino Gesù paffutello e riccioluto con la destra benedice il devoto e con la sinistra regge un lembo del suo vestito. Non ha l’aureola a differenza del fanciullo dell’Adorazione, ma una collana di perle attorno al collo.
  • Chiesa di Corenno Plinio: madonna in trono - dettaglio angeloMentre lo sguardo dell’osservatore si alza per fissare gli occhi di Maria si imbatte nella leggiadra noncuranza dei delizioso angioletto intento a suonare il liuto seduto sui gradini del trono. Da notare anche il tappeto di tipo orientale che sale fino al trono con disegno safawide, il preciso disegno a marmorizzazione delle architetture del trono della vergine e delle colonne e la struttura a intarsi marmorei policromi dell’architrave.

Significato teologico/ religioso
L’affresco commissionato dal medico Sigismondo Andreani probabilmente voleva da una parte presentare la Vergine in trono ma ancor più i due santi tradizionalmente “alleati” dei medici per curare coloro che erano colpiti dalla peste. Nel visione del cattolicesimo la Vergine e i santi in quanto hanno vissuto l’avventura umana e sono dotati di fisicità possono comprendere maggiormente i bisogni del credente e svolgere il ruolo di intercessori presso Dio. L’affresco è eseguito nel 1500 quando sul nostro territorio si diffondono numerose pesti. Da notare che spesso le epidemie erano collegate ai peccati della comunità e quindi l’invocazione della Madonna e dei santi era orientata a ottenere il perdono come salvaguardia del castigo divino.

Giudizio estetico
L’opera presenta una certa preziosità anche se la concezione non è geniale. L’insieme molto accurato si presenta armonioso e ben equilibrato sia nei personaggi che negli elementi decorativi. L’affresco è in grado di trasmettere un senso di pace e di portare il devoto a un dialogo con il mondo trascendente.

Roberto Pozzi

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[1] Stemma: di rosso, al leone rampante d’oro, sinistrato da un castello d’argento torricellato di due pezzi, aperto e finestrato del campo; la campagna palata di rosso e di azzurro, i pali del secondo bordati d’argento, l’ultimo con la bordura solo a destra; la bordura dello scudo composta alternativamente d’argento, d’azzurro, d’argento e di rosso (De Andrianiis, Codice Carpani).

Chiesa di Corenno Plinio: Affresco Santa Apollonia e San Gottardo

Di fronte alla rappresentazione trecentesca dell’Adorazione dei Magi, sulla parete destra prima del presbiterio sono stati riscoperti nell’ultimo restauro del 1966 altri affreschi quattrocenteschi. Nel riquadro maggiore, quello meglio conservato, è visibile nella parte alta, sulla destra il supplizio di Sant’Apollonia e dinnanzi a lei il santo vescovo Gottardo.

Apollonia, un’africana proveniente da Alessandria d’Egitto come Sant’Antonio abate: era invocata per lenire il dolore dei denti. La santa è distesa su una tavola di legno disposta obliquamente, a cui è completamente legata con una grossa fune. Indossa una lunga tunica rossa trapuntata di stelle. Prega con le mani giunte e gli occhi rivolti al cielo. Il suo sguardo è sereno perché è confortata dalla mano benedicente di Dio che spunta dall’alto nell’angolo destro sopra la sagoma dell’antica monofora romanica. Il carnefice è un nano malvagio che stringe con entrambe le mani una tenaglia in atto di strapparle i denti. Reca inoltre altri due strumenti di tortura: una sorta di piccola mazza infilata nella cintura e un arpione nella scollatura delle vesti. È tipico dell’iconografia cristiana rappresentare gli uomini cattivi come bassi di statura e sgraziati.

Accanto ad Apollonia si erge la figura ieratica di Gottardo santo proveniente dall’area tedesca. Prima divenne abate benedettino e lavorò per la riforma dell’ordine, poi nominato vescovo di Hildesheim in Baviera nel 1022, governò per quindici anni la sua diocesi e morì nel 1038. Durante il Medioevo fu considerato un grande pedagogo e architetto. Da noi era invocato come protettore dalla febbre, dalla podagra, dall’idropisia, dalle malattie dei bambini, dalle difficoltà del parto. A lui i devoti si rivolgevano anche per scongiurare la grandine e altri flagelli naturali. Il suo culto era molto diffuso in questa zona del lago.

Nell’affresco Gottardo è rappresentato rivestito da ricchi paramenti liturgici vescovili: porta sul capo nimbato la mitra; indossa il pallio (stola lunga e stretta ornata da croci nere), regge con la destra guantata un pastorale e con la sinistra un grosso volume chiuso per indicare la sua attività di maestro. Il santo guarda compassionevolmente verso la santa martire. I due santi pur essendo vissuti in periodi e luoghi molto diversi, sono uniti dalla devozione popolare in un unico riquadro, il cui bordo segue la sagoma dell’antica finestrella romanica.

Sotto queste due santi appaiono due personaggi: uno adulto rivolto verso un fanciullo che indossa un aderente costume a bande verticali e che esce da un edificio. A fianco vi è un personaggio di cui se vede solo la veste rossa. Quest’ultima scena assomiglia a quella di san Leonardo intento a liberare un giovane prigioniero nel frammento sotto l’affresco dell’adorazione dei magi.

In alto a sinistra ci sono altri due santi: un religioso tonsurato che stringe un pastorale: può essere abate l’abate sant’Antonio. Un altro che indossa un prezioso mantello e alza la destra in segno di benedizione rappresenta un papa con il caratteristico triregno (tiara ornata di tre corone sovrapposte) in testa. Potrebbe essere san Gregorio Magno al quale è stato dedicato un oratorio nel vicino paese di Dervio.

Significato teologico/religioso
La rappresentazione di questi due santi come quella di Francesco e di san Cristoforo ci riporta al culto dei santi particolarmente diffuso in quel periodo nel mondo cristiano. I santi con la loro “presentia” e la loro “potentia” sono gli intermediari, gli intercessori tra i devoti e la divinità, un legame tra il cielo e la terra. Ognuno con una determinata funzione protettiva era invocato in momenti di grave difficoltà. In una comunità umana in balia dei flagelli naturali, delle epidemie, dei soprusi dei potenti, il santo protettore offriva una certa sicurezza e accresceva la coesione e il “capitale sociale” della comunità. La corte dei santi ha sostituito per tanti secoli, almeno nelle aspettative e nell’immaginario collettivo, le politiche pubbliche per garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini. (cfr. approf. 5)

Giudizio estetico
Anche questa scena del martirio risale al 1400. È meno stilizzata e di un livello artistico sicuramente più elevato rispetto alle raffigurazioni sottostanti. Il pittore riesce a trasmettere un drammaticità nella scena del martirio contemperata però dalla serenità del volto della santa che esprime la sua fiducia nel Signore che sta per accogliere il suo spirito.

Roberto Pozzi

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Chiesa di Corenno Plinio: Affresco di San Cristoforo e San Francesco

sabato, Gennaio 28, 2012 @ 08:01 PM
aggiunto da admin

chiesa di Corenno Plinio: Affresco san cristoforo e san francesco

Sulla parete sinistra il visitatore trova un affresco è suddiviso in diversi riquadri contornati da fasce decorative: quelle orizzontali riproducono, secondo una concezione prospettica, delle modanature parallele; quelle verticali mostrano sequenze continue di minuscole raffigurazioni geometrizzanti, secondo in tipo di ornamentazione particolarmente usata nel Quattrocento. Nella ripartizione superiore, il riquadro di sinistra, sempre rispetto all’osservatore, contiene un busto di un gigantesco san Cristoforo che probabilmente occupava tutti i due i riquadri. Nella mano sinistra tiene il ramo stilizzato della palma, simbolo del martirio, mentre sulla spalla destra sostiene il bambino Gesù di cui si intravvede il piccolo piede sull’abito rivestito di ermellino. Il santo indossa un prezioso mantello, come è possibile riconoscere dalle tracce superstiti delle vesti. Il nome Cristoforo indica “colui che porta Cristo”. La tradizione afferma che avesse aiutato Gesù bambino ad attraversare un fiume reggendolo sulle spalle. Per questo motivo era invocato come il santo protettore dei viandanti e dei barcaioli, ma era anche colui che accoglieva il fedele e lo introduceva nella chiesa. In altre chiese come in san Giorgio di Varenna la figura del santo si trova dipinta sulla facciata.

Nell’altro riquadro a fianco di san Cristoforo è rappresentata la scena del miracolo di Francesco che riceve le stimmate sul monte della Verna. Questo episodio appartiene alla serie della Legenda maior (XIII,3) di san Francesco: “Pregando il beato Francesco sul fianco del monte della Verna, vide Cristo in aspetto di serafino crocefisso; il quale gli impresse nelle mani e nei piedi e anche nel fianco destro le stimmate della Croce dello stesso Signore Nostro Gesù Cristo.” Il santo genuflesso è in atto di venire trafitto dai raggi divini: se ne vedono ancora quattro sotto forma di linee bianche che si indirizzano verso le piaghe delle mani, di un piede e del costato. I raggi partono da una figuretta ignuda, posta nell’angolo in alto a destra, che potrebbe riconoscersi nel Cristo avvolto da tre coppie di ali piumate multicolori che richiamano l’iconografia di un serafino. Francesco è vestito con il caratteristico saio, ha la tonsura sul capo e l’aureola a rilievo. Davanti al santo è sistemata una bassa e piccola struttura cubica, come sorta di semplificato leggio, su cui pare d’intravedere appoggiato un libro aperto con delle lettere ormai più decifrabili. Le rocce del monte della Verna, dove avvenne il miracolo, danno profondità alla scena e testimoniano un’esecuzione pittorica di buona levatura. La devozione a questo santo si stava diffondendo rapidamente in tutta la chiesa portata dai Francescani i quali sul nostro territorio avevano fondato un convento a Dongo.

Nel settore inferiore, che è anche quello particolarmente compromesso come conservazione, si riesce a malapena a leggere la presenza di due personaggi nimbati e affiancati, del quale non è reperibile nessuna traccia al di sotto del busto. È ancora possibile discernere che quello a sinistra, rispetto all’osservatore, è un santo vescovo, come si rileva dalla mitra sul capo aureolato, l’altro ha una tipica tonsura che potrebbe indicare la figura di un frate francescano.

Giudizio estetico
Lo stile del frammento conservatosi con i diversi personaggi pare risalire l’affresco all’inizio del XV secolo. Infatti, si può ammirare un’impostazione formale già reperibile nei più importanti centri italiani a partire dal 1300. La qualità dell’affresco ci indicano un pittore di capacità tutt’altro che trascurabile, ben inserito ormai in una nuova realtà figurativa, ove sia le prospettive che le concezioni anatomiche rivelano un realismo già ben più convincente, a confronto con gli altri affreschi già esaminati.

Roberto Pozzi

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