Archivio categoria ‘Monumenti e Luoghi’

Abbadia: Il Battistero della Chiesa di San Lorenzo

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 06:01 PM
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battistero san lorenzoNel 1989 venne costruita l’attuale fonte battesimale ad opera dello scultore Fulvio Simoncini, che proprio in nell’anno precedente (1988) era stato apprezzato dai critici e dalla popolazione per il monumento alle vittime della violenza, che si vede passando da Pescate, vicino alla chiesa.
La fonte è di forma esagonale e sostiene una vasca circolare: due figure geometriche semplici, ma classiche, simbolo di perfezione. L’idea teologica guida è la seguente: il Cristo è il Salvatore di tutti gli uomini, lo Spirito Santo ha guidato Maria, Elisabetta, Giovanni il Battista, Gesù, i suoi discepoli e continua a santificare tutti i battezzati. In sei formelle pulite ed essenziali, ma plastiche e piene di sentimento, lo scultore fa passare tutto il mistero della salvezza secondo la rivelazione cristiana. La storia del mondo è cambiata per la nascita di Gesù: “Et Verbum caro factum est”. L’imperatore romano sembrerebbe attirare l’attenzione di tutte le genti, delle folle, ma la sua gloria cade in rovina, mentre continua a vivere il Cristo nato nel nascondimento e nell’umiltà. Quando Maria fa visita ad Elisabetta, il bambino che deve nascere da lei ha un fremito, ed ella, ripiena di Spirito Santo, esclama: “Benedictus fructus ventris tui” Benedetto il frutto del tuo seno. Maria, in ginocchio come un’umile serva, confessa e proclama che quanto sta avvenendo in lei è opera di Dio ed eleva a Lui il cantico del Magnificat. La quarta formella (nella foto) raffigura Giovanni Battista che indica ai suoi discepoli e alle folle Gesù: “Ecce Agnus Dei”. Egli dice che ha visto lo Spirito di Dio scendere come colomba dal cielo e posarsi sopra il maestro che sta cominciando la sua vita pubblica di annuncio del Regno. Nel momento del battesimo di Cristo, il cielo si apre, si manifesta ancora lo Spirito di Dio che, come una colomba, si posa su di Lui. E dall’alto viene una voce: “Tu es filius meus dilectus” Tu se il mio figlio che amo. Infine il mistero del Salvatore si conclude con la morte in Croce, che tuttavia fa intravvedere la risurrezione: “Oportebat Christum pati et resurgere” Era necessario che Gesù soffrisse e risorgesse. Lo scultore, con una modellazione delicata e una luce quasi soffusa, descrive il messaggio che vuol comunicare in maniera chiara, ma nello stesso tempo molto lascia sottintendere, soprattutto con gli sguardi delle donne in procinto di diventare madri, o con le figure ieratiche del Battista. Le folle, appena abbozzate, col loro gioco di ombre e di luci, danno il senso dell’intuizione del mistero, che tuttavia diventa comprensibile e luminoso solo nella meditazione personale.

Fonte: Abbadia Oggi – Anno VIII – N 6 21 Novembre 1989 

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Abbadia: Le due tele di tradizione agostiniana nella Chiesa di San Lorenzo

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 06:01 PM
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S. Agostino fu uno dei primi, in occidente, a dare una regola monastica ai suoi seguaci.
Parecchi ordini religiosi, fra i quali i Servi di Maria presenti in Abbadia per quasi sei secoli, si ispirarono alla sua regola.
Un ricordo della spiritualità agostiniana sono i due grandi quadri che si possono osservare nella nostra chiesa parrocchiale, appena entrati dalla porta principale, a destra e a sinistra. Provengono dal Conventino e furono messi in questo luogo da don Raspini.

san agostino - chiesa san lorenzo
A destra una grande tela alta m. 1,90 e larga m. 2,70 raffigura la Madonna con il bambino in braccio, che consegna la cintura al vescovo Agostino. Per terra si trova un libro, segno della cultura, della sapienza del santo, alle sue spalle la madre Monica e un altro frate. Nell’angolo a sinistra in basso un putto osserva la Vergine, così pure nell’angolo a destra in alto due angioletti seguono giocosi l’apparizione, mentre al centro compare solo la testa di un putto. Tutta la scena si svolge lungo la linea diagonale compresa tra gli angioletti. Il paesaggio raffigurato nella parte destra in basso mette in evidenza la capacità descrittiva dell’autore a noi ignoto. La cintura è una piccola striscia di stoffa o di cuoio da stringere intorno alla vita, come segno di appartenenza a Maria Vergine. Da qui deriva la devozione alla Madonna della Cintura presente in Abbadia.
Sulla parete di sinistra si trova l’altra tela gemella, che pure parla di S. Agostino. Il vescovo di Ippona è stato un grande studioso, un acuto teologo. Fra le numerose opere che ha scritto si trova un trattato sulla Trinità, mistero che ha meditato profondamente. Il quadro in questione nell’angolo in alto a sinistra raffigura le tre persone della Trinità nella gloria del cielo. In basso un bambino, con una conchiglia, cerca di spostare l’acqua del mare in una buca, sotto gli occhi incuriositi di S. Agostino. La leggenda dice che mentre il santo stava meditando sul mistero della Trinità per scrivere il suo trattato, vide un fanciullo sulla spiaggia che cercava di travasare l’acqua del mare in una buca. Allora intervenne dicendo: “Come è possibile che l’acqua del mare posssa essere contenuta in una piccola buca?”. Il bambino che in realtà era un angelo, rispose: “Come è possibile che il mistero della Trinità sia contenuto nella tua testa?”.
Le tele furono dipinte nel sec. XVII e vennero conservate nel Conventino fino al 1912. Don Rosaspini, nel numero di settembre del 1935 del bollettino parrocchiale “La Voce del Pastore” dice che la devozione alla Madonna della Cintura fu introdotta e diffusa in Abbadia dai Padri Serviti. “Si può desumere chiaramente da due grandi quadri che nel 1912 trovai ancora appesi nell’ampio corridoio superiore dell’ex convento e che nel 1915 feci ritoccare dal pittore L. Tagliaferri e trasportare nella chiesa parrocchiale”.

Fonte: Abbadia Oggi – 21 Novembre 1990

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Abbadia: Le decorazioni di Tagliaferri nella Chiesa di San Lorenzo

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 06:01 PM
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Chi entra nella chiesa parrocchiale di S. Lorenzo in Abbadia è colpito subito dalla ricchezza dei festoni, degli ornamenti, delle statuine, delle dorature che brillano sull’altare ligneo barocco al centro dell’abside.
Lo sguardo, poi, si innalza quasi spontaneamente verso la volta della chiesa decorata da Luigi Tagliaferri, pittore di origine valsassinese (Pagnona), ma cresciuto a Mandello del Lario, in una famiglia di decoratori. E’ sepolto proprio nel cimitero di questo paese, nella cappella di famiglia: la lapide riporta la data di nascita e di morte: 14 novembre 1841 – 12 giugno 1927, e la sua fotografia, un busto venerando con barba e capelli fluenti, lo sguardo profondo e penetrante. Nessuno finora ha scritto su di lui o ha elencato le sue opere nonostante abbia avuto una produzione molto vasta: nella nostra zona ha decorato la chiesa arcipretale del suo paese, il battistero di S. Antonio a Crebbio, la chiesa di S. Rocco a Maggiana, la chiesa di S. Giovanni a Bellagio, ed altri edifici sacri del lago e della Valtellina.
E’ stato un uomo animato da profonda fede e conoscenze teologiche, sicuro nell’usare il pennello, con reminiscenze classiche e barocche, che, tuttavia, non risultano stucchevoli, nè danno fastidio, perchè usate con sobrietà, gusto, senso dell’equilibrio e proporzione.

tagliaferri abside san lorenzo
La composizione che possiamo ammirare nel catino dell’abside della nostra chiesa, prende spunto dal libro dell’Apocalisse: si tratta della gloria dell’Agnello descritta da S. Giovanni.
Al centro spicca l’Agnello, simbolo di Cristo immolato, con la scritta “Agno honor et gloria”.
Ai suoi piedi rotolano verso il basso le potenze infernali, sospinte nel castigo dagli angeli fedeli a Dio, mentre lo slancio verso l’alto è dato dalle schiere angeliche, che, sostenute da nuvole leggere, fanno intravvedere, quasi dietro a un velo, la gioia del Paradiso.
Sulla sinistra dell’affresco sono raffigurati i santi: vergini, dottori, martiri, che, con al centro la croce, rendono onore all’agnello, mentre sulla destra sono rappresentati tutti i popoli della terra (europei, africani, indiani) convertiti a Cristo dall’opera dei missionari. In un angolo del catino (in basso a sinsitra) si può leggere la sua firma: “Tagliaferri L. pinse 1915”.
Nelle tre fasce trasversali, che congiungono i pilastri di sostegno della volta, egli ha raffigurato in medaglioni i dodici apostoli, divisi in gruppi di quattro ciascuno, con in mano i simboli caratteristici di ciascuno, che permettono di individuarli, mentre, nell’ultima fascia sovrastante l’organo, quattro graziosi putti portano dei cartigli con la scritta “Laudate Deo in cordis et organo”.

tagliaferri 2 san lorenzoAl centro della volta spicca la gloria di S. Lorenzo a cui è dedicata la chiesa, con la palma del martirio in mano, vestito con le insegne di diacono, è portato in Paradiso dagli angeli, e ai suoi piedi sono raffigurati gli strumenti tradizionali del martirio, con la graticola su cui venne bruciato. La firma e la data sono ripetute anche in questo affresco.
Di fianco alla gloria di S. Lorenzo, sopra la finestra di destra, un angelo regge un cartiglio con la scritta: “In graticola te Deum non negavi”, mentre sopra la finestra di sinistra si legge: “Gratias tibi quia ianuas tuas ingredi merui”. Nei vani soprastanti le altre quattro finestre sono raffigurate, secondo uno schema tradizionale, le quattro virtù cardinali; partendo da sinistra, vicino al coro, la giustizia, una giovane donna con in mano la bilancia da una parte e la spada dall’altra, la prudenza, una vergine con in mano la lampda accesa, come quella del vangelo, che si guarda allo specchio, la temperanza, un giovane che versa del vino in una coppa, la fortezza, una giovane, seduta su un leone, con l’elmo alato della vittoria, e, in una mano, un fascio littorio da cui spunta l’ascia.

Fonte: Abbadia Oggi Anno V – N. 4 – 21 Luglio 1986

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Abbadia: L’Altare della chiesa di San Lorenzo

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 06:01 PM
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altare  - san lorenzoAnche oggi, come un tempo, l’Altare Maggiore della Parrocchiale di Abbadia, più che una mensa eucaristica, si presenta come un grande monumento ligneo, dai molteplici significati.
Nella relazione della visita pastorale del 1685 viene definito “un grande tabernacolo di legno dipinto e dorato, di nobile struttura, forma ed altezza”.
Si trovava allora nella vecchia chiesa di San Lorenzo, là dove si dice Chiesa Rotta, abbandonata poi per riutilizzare l’edificio già dedicato ai Santi Vincenzo ed Anastasio, lasciato libero dai Padri Serviti per la soppressione del convento del 1789.
Pure con qualche modifica, forse anteriore al ripristino voluto dal parroco Carlo Raspini, l’altare appartiene chiaramente alla seconda metà del Seicento e si apparenta ad una serie di esempi superstiti nella zona lecchese.
Ne conosciamo della stessa epoca a Bellagio, a Rezzago in Valassina, a Maisano di Valbrona, ad Asso, nella chiesetta francescana di Montebarro, a Mandello, a Crebbio e a San Martino di Introzzo in Valvarrone, datato al 1660.
altare particolare 1 san lorenzoQuesto di Abbadia ha struttura simile all’eccezionale pezzo di Introzzo, ma anche a quelli minori di Maisano e Mandello. Nell’arcipretale vicina, molte opere scultoree del momento, pulpito, architrave e Crocefisso, stalli del coro, attorniano l’ara preziosa, attribuibile forse all’intagliatore Giulio Tencalla che lavorò all’Ancona tra il 1674 e 1676, circa gli stessi anni cui appartiene l’altare di Abbadia.
Dietro la mensa rielaborata, dal basamento che si svolge in due gradini sovrapposti, sorretti da putti telamoni, sorge il ciborio o tempietto, formato da due ordini ottagonali, coronati dalla cupoletta che svetta nella figura di Cristo risorto. Ai lati dell’ordine inferiore del ciborio, si sviluppano due brevi bracci quadrangolari, quasi reliquiari che sorreggono le statuine dei Santi protettori della parrocchia, secondo l’uso riscontrabile in tutti gli altari ricordati: San Lorenzo con la graticola, San Vincenzo patrono dell’abbazia medioevale. I tempietti sopra l’altare maggiore sembrano originare dal quello che papa Pio IV (fratello del conte di Lecco, il Medeghino, che molti guasti compì con le sue guerre anche alla terra di Abbadia) inviò circa il 1560 al nipote Carlo Borromeo, il quale accolse il suggerimento tridentino di offrire un particolare spazio all’esposizione del Santissimo, che prima si usava riporre in un apposito scurolo dell’abside o in una cappella. altare particolare 2 san lorenzoL’idea che presiede al ciborio del Duomo di Milano, eretto dall’architetto Pellegrini, si collega alla biblica arca, la tenda-dimora di Dio sulla terra, nel mezzo del suo popolo eletto. L’Eucaristia non era più solo un elemento di comunione, ma veniva considerata come una presenza meravigliosa, che distingueva un popolo che aveva il suo Dio tanto vicino. I Gesuiti del Seicento potevano appunto parlare del tempio come di un “piccolo paradiso”.  Il grande altare di Abbadia, col ciborio alto m. 3,20, rappresenta la sintesi di secolari concezioni, riprese finanche nei colori dell’azzurro e dell’oro, distintivi del cielo temporale e del cielo paradisiaco dell’eterno. Il tabernacolo doveva probabilmente recare la scena della “Imago Pietatis”, cioè del Cristo sofferente sopra il sepolcro: ora questa tavoletta è stata trasferita superiormente, dove invece – secondo le tipiche espressioni – si apriva una nicchia per l’esposizione dell’Eucaristia. Ai suoi lati, nel primo piano della torre, stavano in nicchie le statuette di San Francesco ostendente le stimmate e di San Filippo Benizi fondatore del convento dei Serviti; le ali laterali recano invece S. Antonio abate, cui era dedicato in antico un altare, e un altro santo, Martino o Bartolomeo. Sui due fastigi dormivano fra angeli i protettori della chiesa locale, Lorenzo e Vincenzo. Nel secondo piano, Eurosia e Caterina d’Alessandria, con la ruota del martirio, affiancano la figura centrale dell’Immacolata. I Santi che circondano il risorto sono appunto emblema della proiezione della comunità umana nel divino, elementi di imitazione ma anche tramiti della supplica a Dio. E’ perciò privilegiata la presenza della Vergine, che precorre il futuro dell’umanità (anche se la festa dell’Immacolata verrà stabilita solo nel 1708). Al di sopra della balaustrina intervallata dagli angeli che recano i segni della Passione (lancia, colonna, croce e spugna), l’apparato costruttivo e concettuale si riassume nel Cristo risorto. Sui piedistalli laterali, due Angeli ceroferari alti un metro confermano la luce che emana dal simbolico paradiso. In altri casi, come ad Asso, gli Angeli omaggiano invece la divinità col turibolo.

altare particolare 3 san lorenzo
Al di là quindi della “macchina” barocca e della sua meraviglia scultorea, i concetti sono ancora oggi comprensibili. L’elemento decorativo diventa quindi un valore, anche nei termini artistici, dove un oscuro artefice, probabilmente locale (e ricordiamo proprio a Mandello l’abile intagliatore Francesco Micheli – dal diffuso cognome anche abbadiese – che scolpì Crocefisso e architrave nel 1677-1678) raggiunge importanti effetti espressivi, nel realismo delle statuine, nelle colonnine tortili, nei timpani spezzati, nei fregi, nei mascheroni diabolici calpestati in basso dagli angioli: tutto segno dei complessi moti dell’animo dei nostri antenati del Seicento, che in modo particolarmente intenso alternavano slanci e dubbi verso l’intuizione sensibile dell’infinito.

Fonti: Angelo Borghi da Abbadia Oggi Anno VI – N. 6 – 21 Novembre 1987

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Dervio: Corenno Plinio
Il Castello

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 03:01 PM
aggiunto da admin

Introduzione
Il castello di Corenno costituisce uno dei migliori esempi di fortificazione dello scacchiere lariano. Nonostante abbia subito vari assedi e assalti lungo i secoli, si caratterizza rispetto ad altri per il discreto grado di conservazione. Si tratta di un tipico castello-recinto a pianta irregolare, tendenzialmente quadrata, interamente costruito in pietra. Vi si accede dall’ingresso verso meridione protetto da una torre quadrata del tipo a vela. Presenta sul lato a monte un’altra torre quadrata più tozza con funzioni di avvistamento, di segnalazione di pericolo e di difesa.

Il castello-fortificazione di Corenno  è semplicemente una recinzione per l’estrema difesa della comunità e dei suoi beni più preziosi in caso di scorrerie, guerre e incursioni di popolazioni nemiche. In esso vi trovavano rifugio e protezione dai saccheggi la popolazione, il bestiame ed i generi di sopravvivenza della comunità. Il suo precedente storico è il castrum romano: cinta munita di torri dove si rifugia la popolazione civile in caso di attacco esterno. È spesso il risultato finale di due eventi edilizi non sempre contemporanei: la cortina muraria e le torri di avvistamento.

Il Castello di Corenno Plinio

Il Castello di Corenno Plinio

La posizione
La fortificazione di Corenno era considerata di grande importanza strategica per la difesa del milanese sia dal primo terziere della Valtellina sia della Val Chiavenna. Infatti, sulla strada che dal Trivio porta alla Valsassina non ci sono castelli medioevali di difesa se si eccettua le torri di avvistamento di Fontanedo a monte di Colico. Da Corenno partiva anche una strada che si inerpicava per salire a Vestreno, passando per il castello di Orezia.

Le mura
Castello di Corenno Plinio la torreL’area della fortificazione racchiusa nelle mura è modesta in quanto proporzionata al numero di abitanti del piccolo borgo. La muratura di recinzione, chiamata anche “cortina”, poggia in molte parti direttamente sulla roccia ed è coronata da merli a coda di rondine. Il fatto di avere i merli di tale fattura, non significa che Corenno fosse un comune ghibellino, i merli esistevano già prima della nascita delle irriducibili fazioni di parte. La muraglia presenta sottili e lunghe feritoie verticali per l’uso di balestre e  dalle sue sommità e dalle torri potevano essere lanciati ogni sorta di proiettili sugli assedianti.
Il sistema costruttivo è accurato e nel contempo robusto. Un dato è certo: l’edificio mostra differenti tecniche e materiali lapidei nelle tessiture murarie a testimonianza di un’evoluzione costruttiva nel corso del tempo. Interessanti le rare parti con pietre a spina di pesce, che si ritrovano simultaneamente nel muro esterno della sagrestia della chiesa prepositurale di Dervio (lato nord), nel Castelvedro sopra Dervio e in mura medioevali fra le case di Castello (D. Acerboni). Questa è una tecnica muraria capace di usare pietre anche piccole non lavorate sulle facce denominata opus gallicum. Nella fortificazione si è fatto anche largo uso del sistema costruttivo “opus quadratum”: blocchi di pietra squadrati a forma di parallelepipedi ed usati particolarmente per la formazione degli spigoli. Questo sistema si adattava perfettamente agli edifici di pianta geometricamente regolare e generava nel contempo una perfetta stabilità ed una emotività estetica data dall’armonia delle linee strutturali orizzontali e verticali. (cfr. approf. 1.)

Le due torri
Castello di Corenno - Torre SudVerso il Lario, a protezione dell’ingresso, svetta una torre a vela che si contrappone alla torre massiccia di pianta quadrata sita a monte. Questa possente torre quadrangolare che insiste su uno sperone roccioso non è immorsata al resto dell’edificio. Ciò denota palesemente che non è coeva delle mura. Alcuni studiosi come Luigi Mario Belloni[1] sostengono che sia anteriore alle attuali mura e che sia un avanzo della fortificazione del borgo di epoca comunale inglobata nella fortificazione signorile trecentesca. Fonda questa affermazione sul fatto che la sua altezza fu certamente ridotta quando le furono sovrapposte i merli e che la tipologia della muratura e le piccole finestre quadrate disassate, una per lato che vi si aprono a circa metà altezza, denotano chiaramente questa anteriorità. Anche altri studiosi[2] affermano che la torre sia anteriore all’attuale cortina muraria e la fanno risalire al secolo XI. La presenza di ampie aperture quadrangolari per postazioni di arcieri con arco e la mancanza di feritoie strette per le balestre potrebbe far propendere per una sua anteriorità rispetto alle attuali mura. Non mancano però altri studiosi che affermano che sia posteriore all’attuale cortina muraria. Per la sua ubicazione ha svolto la funzione di avvistamento e difesa dalle soldataglie provenienti da nord che attraverso la mulattiera che sale in Valvarrone passavano in Valsassina per scendere a Lecco e proseguire verso la pianura.

La torre a valle, pure merlata e tangente all’ingresso, è coeva alle mura di cinta perché presenta lo stesso sistema costruttivo ed è immorsata alla struttura laterale della muratura. La torre è stata costruita a difesa dagli attacchi provenienti dal lago, per l’avvistamento e la comunicazione su ampia zona lacustre, in modo particolare con la torre del castello-recinto di Rezzonico. L’entrata a cui si accede salendo una breve pendenza a gradini, è costituita da un gran portone ad arco tondo sormontato da uno stemma in marmo bianco dei conti Andreani.

Finalità della fortificazione
La fortificazione di Corenno era analoga a quella di Bellano andata distrutta e più volte citata nel poema anonimo sulla guerra decennale tra Milano e Como tra 1118-1127. Nello scacchiere orientale del Lario sorgevano similari difese a Lierna e a Mandello del Lario, mentre in quello occidentale a  Gravedona, Bellagio e  Menaggio. A Lierna il castello si ergeva sulla penisoletta chiamata ancor oggi “Castello”. Mandello invece possedeva una grossa torre a lago cinta da mura e fossato che ancora nel settecento era destinata alla sede della Pretura.

La scelta a Corenno di una fortificazione isolata a fianco dell’abitato invece di mura che circondano tutto il borgo si deve soprattutto a motivi economici e strategici. Infatti il perimetro del castello-recinto era molto inferiore a quello dell’abitato per cui richiedeva di minor tempo e materiali per edificarlo. Questo tipo di fortificazione consentiva il salvataggio delle persone e degli animali a discapito delle casupole e dei pochi beni abbandonati perché gli eserciti di passaggio depredavano i borghi e le coltivazioni, ma non avevano interesse ad uccidere gli abitanti. Spesso al saccheggio dell’abitato seguiva l’incendio: in questo caso, il fumo e le fiamme sarebbero rimaste lontano dal fortilizio. Le case del borgo, se vicine alle mura, sarebbero servite al nemico per assaltare il fortilizio o per difendersi. Il castello recinto era più facile da controllare a vista onde evitare tradimenti o penetrazioni occulte. Inoltre, sorgendo fuori dall’abitato, poteva svolgere la funzione di controllo delle vie di comunicazione e segnalare il pericolo incombente. In un certo senso il castello-recinto è una cassaforte d’emergenza per gli abitanti, il bestiame, le derrate alimentari  al servizio della comunità.

A completare la difesa del borgo dove ora corre la strada provinciale vi era un fossato con acqua come segnalano anche gli Statuti Medioevali del 1389. Questo vallo è stato riempito nel 1830 quando venne costruita dagli austriaci la strada militare dello Stelvio fino a Milano. Inoltre, ancora nel 1860, esistevano, all’angolo del palazzo degli Andreani, i cardini della porta che chiudeva il borgo e la mensola di sostegno dell’arco che la sovrasta

Anche le strette e ripide scalinate scavate direttamente nella roccia su cui è adagiato tutto il paese che scendono al lago, anticamente dette callogge, in caso di pericolo venivano chiuse da porte di cui rimangono tracce. A difesa di eventuali attacchi esistevano agli incroci delle vie alcune porte massicce da chiudere in caso di necessità. È ancora visibile qualche loro cardine

La datazione
La Zecchinelli fa risalire il manufatto al XIV secolo anche se si può ipotizzare che, almeno le mura, risalgano al secolo precedente in quanto dovevano giocoforza, esistere o in corso di costruzione quando il castello venne infeudato a Fossato Andreani nel 1271 dall’arcivescovo di Milano Ottone Visconti. Negli atti di un convegno sulle fortificazioni del lago di Como, tenutosi a Varenna nel maggio del 1970, anche Carlo Perogalli presenta la struttura di Corenno come “castello-recinto attribuibile al XIV secolo.

Roberto Pozzi

Approfondimenti
Il sistema costruttivo delle fortificazioni
Il termine “Castello”
Indagine Archelogica dell’Area

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[1]  L.M. Belloni, et alii, Castelli, basiliche e ville, pg.80, La Provincia s.p.a. editoriale, 1991
[2]
 Cfr. Dervio. Archeologia nel castello di Corenno di R. Caimi, S. Lincetto, M. Redaelli, in carta archeologica della provincia di Lecco, Aggiornamento 2009.

La Chiesa di San Giorgio

venerdì, Novembre 11, 2011 @ 09:11 PM
aggiunto da Mandello

La struttura architettonica

L’origine dell’edificio è molto antica, come dimostra la piccola acquasantiera in marmo dell’ingresso laterale, scolpita a nastri intrecciati e croci greche e attribuita al sec. IX-X.
S. Giorgio è di probabile fondazione altomedioevale, e la tradizione l’ha sempre considerata come la chiesa di Crebbio, ora frazione del Comune di Abbadia Lariana, e come tale mantenne per secoli la funzione cimiteriale.
La struttura a capanna, con belle capriate lignee a vista, nelle murature e nelle monofore appartiene al sec. XIII; l’ampio arco trionfale ad ogiva e il presbiterio a volta con costoloni rappresentano un adattamento dei primi decenni del Quattrocento. Si tratta di una architettura molto essenziale che si rintraccia su tutta la Riviera del lago nei tempietti medioevali.
La chiesa è ricordata dal 1461 e fu legata per lungo tempo alla plebana di Mandello del Lario, al cui territorio comunale ancora appartiene, benchè parte della parrocchia di S. Antonio di Crebbio, fondata net 1621 da Filippo Archinti vescovo di Como.

I cicli degli affreschi

Rende particolarmente incantevole l’ambiente l’ampio e unitario apparato decorativo ad affresco, che copre gran parte delle pareti, l’arco trionfale e il fondo del presbiterio. Il raro ciclo, che copre precedenti composizioni affioranti sulla parete dell’arco trionfale e sulla parete destra, si muove entro la matrice culturale dell’Osservanza promossa da San Bernardino, e formula in modo alto ed efficace la concezione che, al momento escatologico, si perviene attraverso le opere e soprattutto la carità. Sull’arco trionfale è dipinto il Cristo nel giudizio finale, affiancato dai profeti Ezechiele e Isaia, cui sottostanno in terne le nove schiere angeliche e patriarchi, inferiormente raccolte da una parte con le sante Brigida, Maria, Agata, a destra con i santi Biagio, Bernardino, Michele: un tempo vi antistavano piccoli altari votivi alle donne e agli uomini.
Sulla parete sinistra si delinea, oltre al Limbo, la risurrezione dei buoni che salgono in gerarchie entro un castello, accolti dai santi Pietro e Paolo e dalla Vergine che si protende verso i riquadri, deliziosamente trattati, delle Opere di Misericordia.
Sull’opposta parete sono incatenati i vizi al giudizio di Minosse; i dannati, intorno all’enorme re dell’lnferno, subiscono le pene del contrappasso dantesco; sulle spine di un singolare albero dai morti rami infruttiferi, sono infilzati i corpi nudi dei viziosi di ogni ordine sociale dai pescatori ai duchi. Questi affreschi vengono collocati negli anni 1475-1485 e riferiti a maestri dell’area piemontese di Mondovi, che attingono però alle esperienze lombarde, in particolare del Foppa, riscontrabili soprattutto sull’arco trionfale.
Nel sotto-arco sono dipinti busti di profeti, decorati sono i costoloni con la bella chiave di volta col Cristo benedicente, mentre sulla parete fondo si vede una Crocifissione stilisticamente diversa, forse opera di un maestro della zona.
Si aggiungono a questo ciclo sulla parete nord alcuni riquadri molto freschi: Madonna in trono con S. Bernardino, i santi Nicola Tolentino e Antonio abate, i santi Bernardo e Rocco, il peccato primordiale di Adamo ed Eva.

TOUR VIRTUALE: http://virtours.onlypositivenrg.eu/sangiorgio/

APPROFONDIMENTI:
Oleg Zastrow, La Chiesa di San Giorgio a Mandello del Lario
Archivi di Lecco, VII, 1984, f.4, p.871

Altri itinerari: Rifugio Rosalba

martedì, Novembre 1, 2011 @ 11:11 PM
aggiunto da Mandello

RIFUGIO ROSALBA

Il Rifugio Rosalba è situato presso il Colle del Pertusio, sulla dorsale erbosa che scende dalla Grignetta verso il Lago di Lecco, circondato da curiosi monoliti calcarei che sbucano come funghi dall’erba e da torrioni dalle ripidissime pareti.
Qui sono nati e cresciuti alcuni gruppi alpinistici famosi in tutto il mondo come i Ragni di Lecco.

DATI RIFUGIO
Gestore:
Mauro Cariboni
Telefono gestore: 0341 732793/339 1344559
Telefono rifugio: 0341 202383
Posti letto:43
Apertura: estiva e week end
Partenza (quota): Maggiana (380 mt)
Arrivo (quota): Rif. Rosalba (1730 mt)
Tempo indicativo: 3:30 ore
Difficoltà: E
Equipaggiamento: Escursionismo leggero
Periodo consigliato: Aprile – Ottobre
Caratteristiche: E’ il sentiero che delimita a SUD la zona mandellese delle Grigne; offre la possibilità di raggiungere i Piani Resinelli

 Come raggiungere il rifugio:
da Maggiana (parcheggio presso la Chiesa di San Rocco, oppure a Crebbio – Frazione di Abbadia Larina – presso la chiesa di S. Antonio), segnavia n. 12, si sale su un sentiero selciato fino ai “Colonghei”, passando dalla zona “Tri foö” (raggiungibile anche da Rongio) e dal “Zuc de la Rocca” (antica cisterna romana).

Si abbandona il sentiero che prosegue verso i Piani Resinelli e, piegando a sinistra, si inizia una salita un po’ ripida e si incontra il largo sentiero che sale sul vecchio Rif. Alippi (non più funzionante).

Proseguendo si giunge in vista del Rifugio e, con una serie di tornanti, si giunge sul pianoro dove sorge lo storico rifugio.

Altri itinerari: Rifugio Elisa

martedì, Novembre 1, 2011 @ 11:11 PM
aggiunto da Mandello

RIFUGIO ELISA

DATI RIFUGIO
Partenza (quota): Rongio (400 mt)
Arrivo (quota):
Rif. Elisa (1515 mt)
Tempo indicativo:
3:00 ore
Difficoltà:
E
Equipaggiamento:
Escursionismo leggero
Periodo consigliato:
Aprile – Ottobre
Caratteristiche:
Sentiero storico per Mandello perché, fino a cinquant’anni fa, le zone alte erano ancora falciate per ricavare il fieno per gli animali che vivevano allevati in paese e nelle frazioni

Come raggiungere il rifugio:
Da Rongio (parcheggio in piazza oppure presso il complesso delle case popolari), segnavia n. 14, per comoda mulattiera si arriva al “Punt de Fer”, poi un comodo sentiero conduce alla “Grotta dell’Acqua Bianca” (Ferera – bivio per Gardata); da qui una serie di tornanti porta prima alla “Prima pösa”, poi alla “seconda pösa”, e infine al “casel del l’aser” (subito prima bivio per Val Cassina e Rif. Bietti – Buzzi); da qui in falsopiano alla “Val del Dragon”, rapida salita e finalmente il rifugio.

Altri itinerari: Rifugio Bietti – Buzzi

martedì, Novembre 1, 2011 @ 11:11 PM
aggiunto da Mandello

RIFUGIO BIETTI – BUZZI

Il Bietti-Buzzi recentemente restaurato e riaperto al pubblico, è punto di partenza per salite di vario livello che ti portano in vetta fino al rifugio Brioschi, attraverso il Canale Guzzi (che conduce alla Cresta Piancaformia), di facile salita (circa 1.30 h); il Caminetto (di circa 1.30 h di media difficoltà) e tramite la Ferrata dei Carbonari (circa 3 ore e di maggiore difficoltà).
Nei pressi del rifugio sono inoltre collocate le più famose vie di arrampicate storiche come quelle del Sasso Cavallo, del Sasso dei Carbonari, ma anche le Falesie della cresta di Pancaformia, appena aperte e attrezzate da giovani alpinisti! Per i meno temerari che non desiderano avventurarsi sui sentieri delle Grigne è possibile invece vedere in comodità una gran quantità di selvaggina che abitualmente si aggira nei pressi del rifugio Bietti-Buzzi: stambecchi, camosci e il gallo forcello.

DATI RIFUGIO
Gestore: Fausto Nogara  
Telefono gestore
: 0341 732169  
Telefono rifugio
: 0341 735741/338 1309920
Posti letto
: 30   
Apertura
: tutto agosto e week end da maggio a novembre
Partenza (quota): Somana (400 mt)
Arrivo (quota): Rif. Bietti – Buzzi (1730 mt)
Tempo indicativo: 3:30 ore
Difficoltà:
E
Equipaggiamento:
Escursionismo leggero
Periodo consigliato:
Aprile – Ottobre
Caratteristiche: Questo sentiero consente si visitare il santuario di S. Maria e l’alpeggio dell’Alpe di Era, attualmente abitato nei mesi estivi.

Come raggiungere il rifugio:
da Somana (parcheggio sulla strada del cimitero, oppure a Sonvico dopo la centrale Enel), segnavia n. 15, per un’agevole mulattiera si raggiunge la Cappelletta di S. Preda (Brigida), il santuario di Santa Maria (subito dopo bivio per sentiero alpinistico allo Zucco di Sileccio) e infine l’alpe di Era dopo aver superato il bivio per Calivazzo e Prada. Dall’alpe di Era, tenendosi sulla destra, si sale all’alpe Cetra (bivio per Gardata) e si continua passando per le “Termopili” e si raggiunge il rifugio.

 

Debbio… Una Madonna da riscoprire

martedì, Novembre 1, 2011 @ 10:11 PM
aggiunto da Mandello

a cura di Simonetta Carizzoni

Una passeggiata a Debbio

Negli ultimi decenni un po’ dimenticato, al confine tra due Comuni, questo santuario finalmente è per i visitatori una piacevole scoperta e un’occasione per una salutare passeggiata. Si puo infatti percorrere in pochi minuti il tratto Debbio – S. Giorgio e viceversa o arrivare da Abbadia seguendo il “Sentiero del viandante”.
Dal 2006, anno in cui un intero mese fu dedicato a Debbio, con mostre ed eventi, grazie    alla sensibilità dell’ Amministrazione Comunale    di Mandello, l’8 Settembre di ogni anno (festa della Madonna di Debbio) si può raggiungere questo sacro luogo anche in barca, rivivendo un magico momento, ammirando la chiesa dal lago e assistendo alle varie iniziative organizzate in collaborazione con la Parrocchia di San Lorenzo.


Una Madonna del latte

La devozione Mariana nel nostro territorio è testimoniata da vari oratori, chiese, santuari e cappelle votive; una recente ricerca ci illumina sulla diffusione e venerazione per le Madonne del Latte nella nostra Provincia, tra cui anche quella di Debbio.
Voglio qui ricordare altre Virgo Lactans: una era conservata in San Martino di Abbadia, un’altra, dolcissima e di buona fattura, era situata in una corte privata di Linzanico; lungo la vecchia strada che dai Saioli conduce a Lierna, sul muro di un casello se ne trova ancora una, cosi come nella chiesa di Bonzeno sopra Bellano.

Posizione privilegiata

II santuario di Debbio aveva un tempo un’importanza particolare come punto di passaggio quasi obbligato; su un colle, tra campi coltivati, in vista di Mandello, si trovava all’incrocio delle vie di comunicazione tra le sponde del lago e le strade che portavano ai borghi e verso i monti; per raggiungere Mandello bisognava salire, lungo la via Ducale, fino a S. Giorgio e ridiscendere, superando il Sasso omonimo o prendere a Debbio la barca.
In effetti ci sembra oggi strano perchè esiste la carrozzabile a lago, realizzata dagli Austriaci nella prima meta dell’800 e la ferrovia Lecco-Colico (1892). Un’unica rampa univa la chiesa all’approdo a lago prima del 1820-30, mentre ora sono tre.
L’ importanza della Madonna di Debbio è testimoniata anche dalle cartoline che la rappresentano e che venivano inviate da Mandello oltre che dai disegni di artisti locali.

Storia

La costruzione e antica, ma non databile con precisione. Inizialmente dedicata a S. Stefano (come citata gia nell’ 883), è ricordata alla fine del XIII sec. da Goffredo da Bussero nel LIBER NOTITIAE SANCTORUM MEDIOLANI tra le venti chiese di Mandello.
Nel 1434 viene commissionato dai conti Stropeni un affresco della Madonna del latte. Del 1619 è la piccola campana, con la scritta “Sancta Maria ora pro nobis”, del XVII sec. molti ex voto, ora perduti, una pala con la lapidazione di S. Stefano, una tela di Madonna con Bambino tra Santi e offerenti. Molti lavori vengono realizzati nella seconda metà del ‘700: 1755 si sposta l’affresco, nel 1760 il Santuario viene dedicato a Santa Maria Nascente, nel 1781 viene dipinta la volta della chiesa. Nel XIX sec. il santuario assume maggiore importanza quando Pio VII consacra l’altare privilegiato di Debbio.

 

Arte

Le forme attuali dell’edificio    risalgono alla seconda metà del 1700 e ripropongono la tipologia degli oratori della zona. La facciata a capanna ha una distribuzione simmetrica delle aperture, con due finestrelle ai lati del portone centrale, incorniciate in granito, una più grande superiore, decorata con cornice in stile Barocchetto come il portale sottostante. L’interno ad una navata, con volta a botte, presbiterio rettangolare, presenta la parete dell’altare dipinta a volute, conchiglie e fiori, un finto catino con le stelle.
Nell’insieme si ha l’illusione di uno spazio concavo molto ricco; ai lati dell’altare, ornato da un prezioso paliotto in seta, due porte danno accesso alla Sagrestia.
Alle pareti laterali, intonacate di rosa marmorizzato, undici ovali richiamano quasi tutti qualità e virtu di Maria.


L’affresco della Vergine (1434)

Dipinto da autore sconosciuto, l’affresco rappresenta una Madonna che allatta seduta in trono, ricoperto da un drappo rosso; tiene il Bambino Gesù con la destra, mentre nell’altra mano ha un rametto di rose.
Realizzato inizialmente sulla parete interna verso Abbadia, nel 1755 è staccato e spostato nella nicchia sopra l’altare.
Dal 1760 è protetto da un vetro con cornice dorata; un recente restauro ci ha restituito la Madonna del latte com’era (il seno nel corso del 1800 era stato coperto).

 

La religiositià popolare e gli ex-voto

La devozione popolare, iniziata    nel 1434, continua nei secoli tanto che il luogo conosciuto come “Madonna di Debbio” e molte sono le elemosine,    le offerte, i lasciti.
L’afflusso dei fedeli aumenta dopo che il 26-9¬1817 papa Pio VII concede l’Indulgenza Plenaria perpetua.
Anche una recente ricerca ha dimostrato l’attaccamento dei mandellesi per questo santuario, frequentato assiduamente fino al dopoguerra e agli anni ’60, e confermato come le donne in particolare vi si recassero per pregare questa Madonna del latte, chiederle la grazia di un figlio, la protezione durante la gravidanza, il parto e l’allattamento, che nei secoli passati voleva dire la sopravvivenza del neonato. Era abitudine portare i bambini a Debbio (piccoli, ma anche ragazzi); la panchina esterna permetteva anche a loro, quando la chiesa era chiusa, di vedere l’interno e di rivolgere una preghiera alla Vergine; si lasciavano fiori e ceri sulla finestra aperta e tante famiglie si recavano per la festa sia a piedi che in barca. Le processioni passavano per Debbio: a S. Marco, il 25 aprile, si facevano benedire le uova del baco da seta, ad aprile-maggio vi passavano le rogazioni, processioni mattutine per la benedizione dei campi. Molti matrimoni sono stati celebrati nel Santuario e si racconta di fatti miracolosi.
Una particolare attenzione meritano gli ex voto del ‘700 e ‘800, realizzati su supporti di materiale diverso, prevalentemente ligneo, una produzione pittorica minore ricca di fascino (le relative copie sono ora appese nella chiesa).

La festa della Madonna di Debbio

Preceduta da una novena, l’8 settembre era una ricorrenza molto attesa e speciale, con la S. Messa, i Vespri e i canestri; ci si fermava tutto il giomo per una scampagnata in compagnia.

Tutte le opere sono da qualche anno conservate in S. Lorenzo a Mandello: la tela e la pala sono visibili nella cappella di S. Marta, gli ex voto sono nel corridoio tra questa e la Sagrestia, dove si trova anche l’Indulgenza plenaria, incorniciata sopra la porta; la preziosa corona della Madonna è conservata invece nel Museo della parrocchiale. Sul leggio dell’altare centrale si può notare un altorilievo raffigurante l’Eterno Padre, che ha subito diversi spostamenti (sui quali non concordi sono i vari studiosi), ma era conservato a Debbio: alcuni testimoni raccontano che un tempo era inserito nel muro di sinistra dell’ultima rampa di scale, da qui rimosso e murato nella parete esterna verso Abbadia in occasione dell’ampliamento del sagrato della chiesa verso sinistra.

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