Lavorazione delle Castagne
Essiccatura delle castagne
Dopo la raccolta, le castagne venivano portate all’essiccatoio (caselèt di castegn o secadùu) a seccare sui graticci (graa): era una piccola baita in muratura, formata da quattro muri in pietra, un tetto solitamente coperto da paglia, per esigenze di tiraggio, ma talvolta anche da lastre di pietra, con un alto locale diviso a metà in verticale da un pavimento formato da un graticcio (da qui il nome graa) sul quale venivano sistemate le castagne. La graa era formata da una serie di travi come quelle che sostengono i soffitti delle abitazioni normali, poste a un’altezza da terra che varia dai due metri e mezzo fino ai tre metri.
Sulle travi si posavano senza fissarli listelli di nocciolo (scudech) o rami di castagno (come nell’essiccatoio di Genico a Lierna), collocandoli abbastanza vicini per impedire la caduta delle castagne, ma abbastanza distanti per consentire il passaggio dell’aria calda, generata dal fuoco che veniva poi acceso a terra.
Le dimensioni dell’essiccatoio variavano da 2 a 4/5 metri di lato in rapporto alla quantità di castagne che il fondo poteva produrre, e potevano contenere circa 10/15 gerle da 30 kg di castagne, circa 4 quintali.
L’essiccatoio poteva essere ad un solo vano e in questo caso le castagne venivano scaricate vada una finestra esterna, aperta più in alto del graticcio. Se invece presentava un vestibolo nel quale si potevano depositare attrezzi, vestiti da lavoro, cibarie ecc., la graa era accessibile da questo con una scala a pioli.
Via via che la raccolta procedeva le castagne venivano scaricate sul graticcio e distribuite a formare uno strato uniforme. Lo strato delle castagne sul graticcio non doveva essere inferiore ai 40 cm, perché una parte del calore si sarebbe dispersa senza essere utilizzata, e non doveva superare i 60 cm perché la temperatura nella zona superficiale non sarebbe stata sufficiente all’essiccamento e l’umidità prodotta dalle castagne avrebbe favorito il rapido sviluppo di muffe.
L’essiccamento avveniva in questo modo: nel locale sottostante c’era un braciere dentro il quale si mettevano a bruciare grossi ceppi (sciòcch) mescolati alle bucce secche delle castagne (pell di castegn) dell’anno precedente per soffocare la fiamma. Il calore distruggeva in breve le larve della Carpocapsa splendana (verme delle castagne). Ceppi e bucce alimentavano il fuoco, le bucce regolavano la combustione dei ceppi in modo che “el brasàss “, cioè bruciasse senza fiamma, ma con tanto fumo.
Il fuoco doveva funzionare regolarmente e produrre fumo per dare alle castagne il giusto aroma. Se si sviluppava una fiamma troppo alta le castagne bruciavano; se il calore era troppo scarso, le castagne non essiccavano bene e rischiavano di ammuffire nel corso dell’inverno.
Nei tempi precedenti la prima guerra mondiale la maggior parte delle famiglie andava a vivere nell’essiccatoio portando con sé soltanto la padella per fare le caldarroste, il paiolo per far bollire le castagne e il bariletto per l’acqua; per tutta la durata della raccolta non mangiava altro.
Attorno al rustico focolare si raccoglieva un tempo l’intera famiglia e, mentre si seguiva con attenzione l’essiccamento delle castagne, si cucinava nella marmitta appesa alla catena che pendeva dalla graa.
L’essiccatura delle castagne era un’operazione piuttosto difficile perché occorreva girare spesso i frutti per non farli seccare troppo.
La durata dell’essiccazione variava dai 20 ai 30 giorni. Dopo le prime due settimane di fuoco si procedeva al rivolgimento delle castagne sul graticcio. Le castagne venivano scaricate dalla graa avendo l’avvertenza di tenere grossolanamente divisi lo strato superiore da quello inferiore in modo da poterla ricaricare in posizione invertita. Le operazioni di essiccazione poi riprendevano fino a completamento. Piccole quantità di castagne si potevano essiccare anche in casa: si mettevano nei cesti e si appendevano nella cappa dei camini così che ricevevano calore e fumo. Oppure si realizzava un ripiano di scodech come prolungamento della mensola del camino che fungeva da piccola graa.
Un altro sistema per conservare le castagne era la produzione di filét. Il filét si faceva infilando le castagne fresche con uno spago; in questo modo, si formava una collana anche molto lunga che veniva poi essiccata appendendola a una parete o sui balconi.
Un altro metodo di essiccazione era l’uso del caniccio o metato. Il caniccio era una sorta di piccola casetta, dove a livello del terreno era sempre acceso un fuoco di legna di castagno e a circa 2 metri di altezza erano poste le castagne ad essiccare su un piano costruito da pali, sempre di castagno. In questo modo con il calore del fuoco sottostante le castagne in circa 20 giorni si essiccavano.
Pestatura e Vagliatura delle Castagne
Quando le castagne erano secche si procedeva alla battitura per separare il frutto dalla buccia secca.
Radunati intorno ad un grande ceppo o vicino ai gradini della abitazione, i proprietari delle castagne cominciavano ad infilarle in speciali “sacch de tela de ca”, tessuti appositamente con canapa grossa affinché fossero più robusti possibile.
Erano stretti e lunghi 60/70 centimetri, alla estremità interna venivano cucite due palle di stracci, si riempivano a metà poi, uno per mano, venivano battuti sul ceppo o sui gradini con movimenti ritmici da tutti i partecipanti.
Dopo una decina di minuti i sacchetti venivano svuotati e si procedeva all’altra importante operazione: la vagliatura. Con il val, cesto semipiatto a largo ventaglio che, tenuto per i manici e scrollato con gesti sapienti, con un’operazione faticosa e monotona, faceva cadere la scorza per terra, mentre le castagne restavano al suo interno. Il vaglio veniva usato dalle donne che, con abilità, lo agitavano con brevi e rapidi movimenti ritmici in alto e in basso, a destra e a sinistra.
La mazza o spadija era un ceppo cilindrico o quadrato di quasi mezzo metro di diametro o lato, spesso 15-20 cm e munito di un manico ricurvo. La faccia inferiore aveva una superficie dentata con sporgenze a forma di tronco di piramide. Veniva manovrata abilmente con un movimento ritmico, simile a quello del pendolo.
Terminata l’operazione di vagliatura la castagna doveva presentarsi senza la pellicina e questo significava che il lavoro era stato fatto bene.
Non sempre si usava battere le castagne con i sacchetti di tela di canapa. A volte si usava un grosso ceppo di castagno scavato al centro a mo’ di mortaio e si battevano dall’alto in basso con il pesta castegn: un apposito pestello di legno, verticale con una traversa per manopola, in fondo al quale erano conficcati dei chiodi che servivano appunto a rompere il guscio delle castagne.
Altre volte questa specie di mortaio era costituito da una grossa pietra scavata, la cosiddetta pila. Tuttora se ne trovano alcune in disuso anche nelle nostre frazioni, a volte utilizzate come fioriere.
Cernita delle Castagne
L’ultima operazione di cernita, eseguita in genere dalle donne, veniva fatta più tardi durante le sere autunnali, spargendo le castagne su grandi tavoli per selezionare le castagne a seconda delle dimensioni e dello stato di integrità dopo la pestatura, per eliminare quelle marce o intaccate dal verme che venivano date ai maiali o, bollite, alle mucche, e per togliere i residui di sansa (camisa).
Le castagne venivano anche passate in appositi setacci a trame differenti appesi alle travi dei soffitti, per ripulirle definitivamente dai residui: quelle che avevano ancora il guscio o la pellicina interna dovevano essere battute un’altra volta.
Infine si mettevano da parte, riposte in apposite cassapanche, quelle bianche e grosse, divise in due parti a seconda della pezzatura in quanto quelle più grosse impiegavano più tempo a bollire.
Le “castagne bianche” erano il prodotto finale, pronte per essere utilizzate per tutto l’inverno: insaccate e vendute, andavano a formare la parte più consistente del misero reddito dei contadini, mentre, cucinate, ne costituivano la base alimentare.
La Farina di Castagne
Macinate in mulini ad acqua con macine di pietra opportunamente scanalate, le castagne diventavano una farina da impiegare come succedaneo delle più costose farine di cereali nella preparazione di polenta, focacce, pasta e zuppe.
Generalmente la farina di castagne veniva adoperata aggiungendo acqua ed un pizzico di sale e dopo un’opportuna amalgamatura era pronta per i diversi tipi di cottura ed era ingrediente di base per molti piatti poveri tipici del Lario e, più in generale, di tutte le zone in cui il castagno è diffuso.
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