Colico Ieri e Oggi
I primi insediamenti in età Neolitica hanno lasciato tracce sul Montecchio Nord, dove veniva estratto rame, dall’età del bronzo ci sono pervenute incisioni su massi (coppelle) ancora da studiare, dalle popolazioni liguri e celtiche alcuni toponimi (Olgiasca, Montecchio) e forse il nome stesso di Colico (Co-lèk).
In epoca romana emerge l’importanza strategica del lago, che costituisce la più importante via di comunicazione tra la ricca e popolosa pianura padana con gli altrettanto importanti paesi d’oltralpe attraverso i valichi alpini di Maloja, Septimer, Spluga, Julier.
La zona è inglobata in epoca imperiale nel Municipium Novum Comum, dove ha sede la flotta imperiale, terza per importanza: il lago è navigabile fino a Samolaco, da dove si prosegue via terra verso i valichi alpini, sulla sponda occidentale viene aperta l’unica via percorribile con carri, la Via Regina.
I terreni agricoli sono suddivisi con la centuriazione da cui il toponimo Centoplagio che ricorre spesso nei documenti.
Con la diffusione del Cristianesimo, si diffonde anche il culto di San Fedele, soldato romano martire del IV secolo, che forse approdò a Laghetto per cercare scampo alle persecuzioni.
Colico fa parte della diocesi di Como e della pieve di Olonio, sede anche di un mercato di fama internazionale.
Nel 617 il vescovo scismatico Agrippino fa costruire a Piona l’oratorio di Santa Giustina, primo nucleo della futura chiesa di San Nicolò.
Durante la dominazione di Franchi e Longobardi, sec. VIII-IX, ai piedi del monte Lineone (citato in un documento del 879) vivono comunità rurali con beni comuni o concilia, organizzate in aziende agricole o curtis, da cui toponimi Corte a Laghetto e i termini dialettali gudàz = padrino, scusàa = grembiule e gaggio = bosco di derivazione longobarda.
Grazie a donazioni e lasciti, si estendono le proprietà di chiese e monasteri di Gravedona e di Como.
Il nome Colego compare per la prima volta in un documento del 931, ma in numerosi atti notarili del tempo compaiono i toponimi Fameliarca, Curtis, Curte de Centoplagio (1204), Burgonuovo de Colgo, Rubianiga Olzasca, Fosato, Vilaricho (1154) e si parla di attività agricole, estesi vigneti, di mulini in località Vilaricho (1239).
Nel 1200 è documentata la formazione in Colico di un libero comune, retto da un’assemblea di Estimati o proprietari terre, diviso in 4 squadre o frazioni (Colico piano, Curcio, Villatico, Laghetto; Olgiasca, comune autonomo, sarà accorpato da Napoleone), e con estesi boschi e pascoli che erano beni della Comune cioè della comunità Nel XIV secolo Colico diventa feudo dei Visconti, viene assegnato alla famiglia Sanseverino e poi ai Quadrio di Tirano, col titolo imperiale di Conti dal 1550.
In quello stesso periodo un’alluvione del torrente Inganna distrugge l’insediamento originario di Colico piano, la roccaforte o castrum de Colego citato nei documenti, che viene trasferito in un’altra insenatura del lago.
Dal XII secolo, per le continue guerre fra Impero, Comuni e Papato, e in particolare fra Como e Milano che coinvolgono tutte le comunità lariane, nella zona alto lago vengono costruite una rete di torri di avvistamento e difesa con cinta muraria, per proteggere le popolazioni rurali dalle frequenti incursioni.
Ne rimangono tracce nei toponimi Murata, Portone a Curcio, Torre a Laghetto, nelle case-torri ormai scomparse a Olgiasca, Corte e a Curcio, ma di cui possiamo vedere due esemplari sul Monteggiolo.
Possiamo ancora ammirare nella sua imponenza quella di Fontanedo, a guardia dell’omonimo, antico, nucleo abitato.
Fin dal Medioevo è documentata una fitta rete di sentieri, ancora in gran parte percorribili, utilizzati per gli spostamenti locali, ma anche per mettere in comunicazione la zona rivierasca con la Valvarrone, la Valsassina, la Val Gerola, la Valtellina.
Sentieri acciottolati, a mezza costa costituivano, fino a due secoli fa, l’unica via lungo tutta la sponda orientale del lago, per viandanti e carri che volessero recarsi da Milano-Lecco nei paesi d’Oltralpe, e viceversa.
Su questa direttrice fu edificata nel XIV secolo la chiesetta di San Rocco.
L’importanza strategica di Colico si accresce, suo malgrado, nel XVI secolo, quando l’alto lago diventa uno dei campi di battaglia tra le superpotenze dell’epoca, Francia e Spagna, per il predominio dell’Europa: Colico viene invaso dapprima dai Grigioni, che devono poi arretrare fino a Piantedo, viene saccheggiato dai soldati francesi e infine occupato dagli Spagnoli, che mantengono il loro infelice dominio fino al 1714, quando subentrano gli Austriaci.
È un periodo di decadenza economica e di sofferenze per la popolazione, dovute a cause naturali (i terreni della Piana di Colico e l’intero Pian di Spagna si impaludano, e si diffonde la malaria) ma anche storiche e politiche.
Colico diventa “terra di confine” fra due stati in guerra anche religiosa: il Milanesado spagnolo baluardo del cattolicesimo e i Grigioni che hanno aderito al Protestantesimo e controllano la Valtellina (dovranno abbandonarla in seguito alla rivolta del 1620 nota come Sacro Macello).
Sul montecchio più vicino al confine, il Governatore di Milano Don Pedro Enriquez de Acevedo, conte di Fuentes fa erigere in gran fretta nel 1603 una fortezza che tenga a bada i Grigioni e una torretta che controlli la via per la Valtellina.
Durante la guerra dei 30 anni, che devasta l’Europa, le truppe mercenarie dei Lanzichenecchi nel 1629 scendono dalla Germania dirette a Mantova in aiuto degli Spagnoli, fanno tappa a Colico, saccheggiano e diffondono la peste che spopola il paese.
Solo nel XVIII secolo, con il governo “illuminato” di Maria Teresa d’Austria che impone tasse più eque e favorisce gli investimenti in agricoltura, la comunità di Colico comincia a riprendersi e la sua popolazione aumenta anche per l’immigrazione di braccianti e massari.
Il Catasto teresiano del 1722 mostra estese proprietà di enti ecclesiastici ma anche di nobili milanesi e industriali della seta che investono in redditizie aziende agricole nel territorio di Colico.
Si coltivano mais, cereali, castagni per il consumo familiare, numerose viti per pagare le tasse e i fitti, lino e canapa che insieme alla lana vengono filati e tessuti in casa dalle donne.
I contadini allevano anche mucche, pecore, capre, maiali per il consumo familiare, vivono in edifici rurali e praticano la transumanza stagionale sui monti e sugli alpeggi.
Nel secolo successivo estendono le piantagioni di gelsi, per allevare i bachi da seta sempre più richiesti dall’industria serica in espansione.
Nell’alto lago, lungo i corsi d’acqua, vengono impiantati setifici e filatoi; a Colico saranno attivi fino agli inizi del ‘900 tre “incannatoi” per la seta, dove lavoreranno soprattutto donne e bambine.
Le zone pianeggianti lungo il lago e l’intero Pian di Spagna sono però paludosi e improduttivi, la malaria continua a mietere vittime e costringe gli abitanti di Colico a trasferirsi d’estate in luoghi elevati e salubri, seguendo il bestiame sui monti e perfino in Valle Spluga, a Teggiate, Andossi luoghi d’origine di molte famiglie.
Vi crescono solo erbe palustri, caréch, vi nidificano varie specie di uccelli che richiamano anche dal milanese compagnie di cacciatori in cerca di selvaggina.
La frazione più popolosa sede dell’unica parrocchia, rimane Villatico, che gode di un ambiente più salubre e ospita attività produttive quali mulini, forni, torchi, segherie e a metà ‘800 la prima scuola.
Solo agli inizi del XIX secolo, grazie all’impegno dell’ingegnere francese Giacomo Rousselin e del medico varesino Luigi Sacco ha inizio tra molte diffcoltà la bonifica della Piana di Colico: si scavano canali, si aprono strade (per Piantedo), si estrae torba, si coltivano le terre prima acquitrinose.
Gli Austriaci realizzano importanti opere pubbliche, incanalano in un alveo rettilineo il corso dell’Adda nel 1858, potenziano la rete stradale per scopi militari, aprendo nel 1809 la Colico-Sondrio che poi proseguirà fino a Bormio e allo Stelvio, nel 1822 la Colico-Chiavenna che continua fino a Coira attraverso lo Spluga.
Queste opere pubbliche richiamano ed impiegano mano d’opera, Colico acquista una grande importanza nella rete viaria del tempo e si avvia ad uno sviluppo economico e sociale anche grazie alla costruzione del porto nel 1818.
Da qui passano tutte le merci da e per i paesi d’Oltralpe e, con l’avvento dei battelli a vapore, esso diventa il punto d’attracco più importante dell’alto lago.
Aumenta la popolazione sia nelle frazioni, che si costituiscono in parrocchie autonome intorno alle nuove chiese:
• Parrocchia di San Nicola di Bari in Olgiasca, eretta presumibilmente nel 1252
• Parrocchia di San Bernardino in Villatico, eretta intorno al 1500
• Parrocchia di San Fedele in Laghetto, eretta nel 1857
• Parrocchia di San Giorgio in Colico Piano, eretta nel 1914
• Parrocchia dei Santi Angeli Custodi in Curcio, eretta nel 1934
Ma si amplia soprattutto Colico Piano, che si avvia a diventare il centro del comune grazie alla sua posizione, ai servizi, al porto, alle strade che favoriscono la circolazione di merci, persone e idee.
Le idee mazziniane animano l’azione di Michele Ghisla e di altri patrioti che partecipano alle lotte risorgimentali per l’indipendenza, combattono al seguito di Garibaldi, si organizzano per affermare il diritto al voto (circolo repubblicano, suffragio universale), all’istruzione (più scuole, corsi per adulti), all’assistenza e alla pensione (Società Operaia di Mutuo Soccorso, 1864). Il lago di Como diventa sempre più meta di turisti: dai viaggiatori tedeschi del XVI secolo che ci hanno lasciato i loro appunti di viaggio, agli amanti del “Gran Tour” affascinati dalle rovine del Forte, dall’Orrido di Bellano, dalle ville.
A fine secolo iniziano le escursioni alpinistiche sul Monte Legnone (2609 m) e a Colico sorgono, accanto ad attività artigianali e a piccoli opifici (cartiera, incannatoi), numerosi alberghi.
Colico vede confermato il suo ruolo strategico nella rete delle comunicazioni con la costruzione della linea ferroviaria per Sondrio 1885, Chiavenna 1886 e Lecco 1894, che verranno elettrificate nel 1902 e favoriranno lo sviluppo della sponda orientale del lago.
La crisi dell’agricoltura, che rimane la principale attività lavorativa, costringe però molti colichesi ad emigrare, soprattutto negli Stati Uniti, nell’America Latina, in Australia, spesso definitivamente.
Nei primi decenni del XX secolo sono ancora molti i colichesi che migrano oltreoceano, ritornano dopo alcuni anni e con i piccoli capitali raggranellati possono acquistare appezzamenti di terra suffcienti per diventare da massari o fittavoli piccoli proprietari indipendenti.
Le rimesse degli emigranti rendono possibile una ridistribuzione della terra e una certa mobilità sociale.
Le tensioni internazionali, i preparativi bellici che contrappongono la Triplice Alleanza, di cui l’Italia fa parte fino al 1914, alla Triplice Intesa, con cui si schiera all’entrata in guerra nel 1915, spingono lo Stato italiano a costruire un’imponente linea difensiva per fermare un eventuale attacco dal fronte alpino: la Linea Cadorna.
La partecipazione alla prima guerra mondiale manda al fronte i giovani, braccia maschili valide indispensabili per l’agricoltura.
Numerosi sono i morti nelle trincee del fronte orientale, e più ancora quelli che fanno ritorno invalidi e mutilati; alla crescita del paese, così compromessa, non contribuiscono certo la politica autarchica e militarista del ventennio fascista.
La partecipazione alla seconda guerra mondiale, che ne costituisce il naturale epilogo e ne decreta la fine, vede morire sul fronte russo, africano e nei mari decine di giovani colichesi.
Soprattutto la ritirata di Russia apre gli occhi a molti giovani che, nonostante l’indottrinamento di un ventennio, dopo l’8 settembre rifiutano di continuare a combattere a fianco dei nazisti e si rifugiano in montagna, dove organizzano la lotta partigiana.
Colico, data la sua posizione strategica, è presidiata da truppe della RSI e tedesche, la popolazione è divisa.
La Resistenza non si realizza solo con azioni militari: sono molti i civili e le donne che sostengono, aiutano, nascondono i partigiani e i fuggiaschi, e anche la repressione è feroce (incendiate per rappresaglia case di Fumiarga, esecuzioni).
A Colico trovano ospitalità molti “sfollati” da Milano, sfuggiti ai bombardamenti, e si verificano episodi di solidarietà e generosità che si contrappongono alla barbarie della guerra, ma anche qui le bombe lanciate sul nodo ferroviario provocano morti civili e distruzioni.
La ricostruzione del dopoguerra vede una faticosa ma costante crescita del paese, che elegge come primo sindaco, dopo la Liberazione e il ritorno alla democrazia, lo storico professor Martino Fattarelli, a cui è stata dedicata la nuova biblioteca.
Negli anni ‘50 si assiste a un progressivo abbandono dell’agricoltura, che sopravvive come lavoro integrativo accanto a quello in fabbrica.
Uomini e donne trovano lavoro nelle industrie di Dervio (Redaelli), Bellano (cotonificio Cantoni), Mandello (Moto Guzzi), Abbadia (tubettificio), Lecco (Badoni), Talamona (Nuova Pignone) che raggiungono ogni giorno con i treni dei pendolari.
Solo con la costruzione della nuova SS36, completata con l’attraversamento di Colico, si mettono le basi per la creazione in paese di un’area industriale, che in breve offre possibilità di lavoro non solo ai colichesi ma richiama anche lavoratori da fuori.
Il resto è presente … e futuro da costruire! Colico è gemellata con la cittadina tedesca di Wolfegg.
Testo a cura di Giovanna Zugnoni