La Cucina Montana e Valligiana
Le valli che confluiscono nel lago di Como, nei secoli hanno ricevuto influssi culturali dall’esterno: Veneto, Grigioni, pianura Padana. L’agricoltura non è mai stata ampiamente praticata nella zona.
Infatti il territorio era per lo più lasciato incoltivato per il pascolo o per ricavarne il foraggio invernale per il bestiame, e solo i piccoli terrazzamenti a mezza montagna erano utilizzati per la coltivazione del mais, delle patate e dei cereali resistenti ai climi rigidi come orzo, grano saraceno, segale, miglio e avena.
Altro alimento importante delle popolazioni locali era la castagna, che veniva consumata come tale o utilizzata per produrre la farina.
L’attività principale era dunque l’allevamento del bestiame che forniva latte, formaggi, salumi e condimenti, ovvero gli elementi di base della gastronomia della zona.
Basti pensare che fino alla fine dell”800 l’olio era pressoché sconosciuto e perfino l’insalata era condita con il burro, che in alcune preparazioni era sostituito da pancetta fritta.
In pratica ogni famiglia provvedeva al proprio sostentamento alimentare in un’economia di sola sussistenza, testimoniata dalla grande frugalità della pietanze.
Con l’introduzione nell’area alpina di mais e grano saraceno, i cibi primitivi come il macco o la puls di castagne, furono sostituiti dalla polenta che divenne il piatto principale di tutte le mense, consumata da sola (pulenta santa o pulenta e spüda) o accompagnata da latticello, formaggio, salame e anche da frutta o insalata.
L’alternativa alla polenta era rappresentata dalle zuppe, preparate con verdure, fagioli, talvolta castagne, miglio e panico pestati o orzo anche non pilato; oppure con polentina morbida di grano saraceno, mais o frumento, che in qualche caso veniva tostata nel burro e diluita con latte o acqua.
L’alimentazione della piccola nobiltà locale si discostava da quella delle classi meno abbienti sia per l’abbondanza delle portate sia per la presenza di cacciagione, pesci d’acqua dolce, lumache e gamberi di fosso. Oltre che dalla grande varietà di preparazioni ottenute con pochi ingredienti, la cucina era caratterizzata dalla povertà dei mezzi di cottura.
Infatti i pastori durante gli alpeggi estivi in alta montagna disponevano solo di un paiolo e di un bastone per rimestare le pietanze (taracc o taraj), mentre nelle case a fondo valle e delle famiglie benestanti la “batteria” di pentole comprendeva anche una pentola di bronzo per la trippa e le lunghe cotture delle minestre d’orzo, una padella di ferro per i kisciö e i cicc (schiacciate di farina nera e formaggio), e una pentola di pietra ollare (lavécc) tipica della Valmalenco ma prodotta anche in Valchiavenna fin dall’epoca romana, divenuta il simbolo della cucina locale.