Archivio categoria ‘Storia’

Mandello: Alla ricerca di tracce medioevali nel borgo antico

sabato, Marzo 16, 2013 @ 07:03 PM
aggiunto da admin
Piantina Centro Storico di Mandello

Piantina Centro Storico di Mandello

Già dai tempi preromani e romani il nostro territorio è stato sicuramente abitato; sono stati infatti trovati nel sottosuolo (soprattutto nel sito sulla destra della foce del Meria dove oggi sorge il Vellutificio Redaelli) resti di tombe preistoriche e gallo-romane risalenti al periodo dell’impero romano; di tali oggetti archeologici (coppe in terracotta, monete, ecc.), portati alla luce da F. Keller fra it 1840 e it 1845, non esiste però piu traccia nel nostro territorio: pare siano stati donati al Museo Nazionale di Zurigo.
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Download Libro “Tra Lago e Montagna”

giovedì, Gennaio 24, 2013 @ 07:01 PM
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Tra Lago e Montagna

La Pro Loco di Abbadia Lariana, con l’autorizzazione del parroco di Abbadia Lariana, è lieta di pubblicare la versione elettronica dell’opera “TRA LAGO E MONTAGNA – La comunità di Abbadia nell’età moderna”, una ricerca storica  del nostro territorio edita nel 1995 a cura della parrocchia.

Alcuni degli argomenti trattati:
– La formazione storica del territorio
– Le risorse agricole: ina realtà precaria
– Il paesaggio sociale
– Istituzioni pubbliche e societa’
– Il complesso conventuale
– L’antica e la nuova chchiesa parrocchiale

Si ringrazia Don Vittorio che ha reso possibile la pubblicazione online dell’opera.

Scarica il libro TRA LAGO E MONTAGNA (PDF) – 18 Mb

Abbadia: La chiesa di San Bartolomeo

sabato, Dicembre 29, 2012 @ 06:12 PM
aggiunto da admin

La chiesa La chiesa di San Bartolomeodi San Bartolomeo sorge in località Castello, una piccola frazione che sta tra S. Rocco e Novegolo, sotto Robbianico. Il  nome originale è però Castel dell’Abate (Castrum Abbis) o Castellabate. Il luogo è antichissimo e tracce molto importanti della presenza romana sono note e ben documentate.

Intorno all’anno 800 nacque, vicino al lago, l’Abbazia Benedettina di S. Pietro voluta, secondo la tradizione, da Desiderio re dei Longobardi; l’Abate dei benedettini aveva una sua dimora che era situata appunto sul colle di Castello all’interno della cinta muraria e all’esterno aveva fatto costruire  una chiesa intitolandola a S. Bartolomeo. La chiesa è dunque, oltre al monastero, la più antica costruzione religiosa del paese.

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Dervio: L’antico Borgo di Corenno Plinio

domenica, Luglio 29, 2012 @ 02:07 PM
aggiunto da admin

Corenno Plinio - panorama dal lagoCorenno Plinio, frazione del Comune di Dervio, si trova sulla sponda orientale del Lario ai piedi del monte Legnoncino, adagiato su una balsa rocciosa, in posizione dominante sul centro lago.
Fin dai primi documenti medioevali il borgo è denominato Corenno o Coreno: l’origine del toponimo è ignota, probabilmente celtica, anche se in passato gli Umanisti hanno voluto scorgere la radice greca corintum, pensando ai coloni greci inviati da Giulio Cesare sul lago.

Il nome Plinio venne aggiunto solo nel 1863, dopo l’Unificazione d’Italia, per distinguerlo da altri comuni con lo stesso nome: le autorità locali scelsero di associare il nome Plinio perché si credeva che Plinio il giovane, funzionario dell’Impero Romano e scrittore nato a Como, vi avesse posseduto quella villa che “posta su una rupe dominava il lago”; i suoi palazzi sul lago si trovano in realtà più vicini a Como, probabilmente a Bellagio e a Lenno.
A Corenno è stata anche collegata una storia tragica, raccontata dallo stesso Plinio: il suicidio sul Lario di una coppia di cittadini romani che, disperati ed in preda alla vergogna per un male ignominioso dello sposo, si legarono e si gettarono assieme da uno scoglio.

Castello e Chiesa di Corenno PlinioPer comprendere la struttura del borgo medioevale (la chiesa con gli affreschi, le arche, il castello-recinto con le torri, le scalogge e il vecchio molo), è importante fare alcune annotazioni sulla comunità degli abitanti (la vicinitas o la communitas), nata dopo il primo Millennio.
E’ fondamentale risalire a questo insieme di famiglie, affrancate dal giogo del feudatario, che decidono liberamente e autonomamente di organizzarsi e  proteggere la propria identità sociale e culturale con la creazione di istituzioni e di norme raccolte nello Statuto comunale medioevale, giunto a noi nell’edizione del 1389.
A protezione e a difesa dell’identità sociale e fisica, costruiscono una fortificazione: in questo caso, il castello è una fortificazione comunitaria costruita per rifugiarvisi in caso di pericolo.
La comunità manifesta la propria identità nella fede religiosa erigendo la chiesa, che è il fulcro delle celebrazioni delle feste liturgiche.

Roberto Pozzi

APPROFONDIMENTI:
Note sull’Autore
Inquadramento Storico
Storia di Corenno e del suo castello
Il Castello
La Chiesa Parrocchiale
Ville e Opere Minori

Abbadia Lariana: La Chiesa di San Lorenzo

domenica, Aprile 29, 2012 @ 07:04 PM
aggiunto da Abbadia

Abbadia Lariana - Parrocchia di San LorenzoS. Lorenzo è ricca di storia e di arte: nel luogo dove sorge, esisteva, dal sec. VIII, un’abbazia benedettina dedicata a S. Pietro, che si ritiene fondata addirittura da Desiderio, re dei Longobardi.
Verso il sec. XII perse d’importanza, e il Tatti dice che “cadde e rovinò per decrepità”, facilmente la tracimazione del lago causò o affrettò la decadenza della chiesa.

Venne ricostruita nel sec. XIII dall’Ordine dei Padri Serviti, che la dedicarono ai SS. Vincenzo ed Anastasio.
Don Grisoni, nella sua cronaca parrocchiale, dice: “La tradizione vuole che Filippo Benizi membro e generale dei Serviti, fondati in Firenze nel 1233 dai sette Santi fondatori, viaggiando per l’Italia, fosse passato anche da queste parti e, trovata questa gente abbandonata, facesse sì che il vecchio monastero venisse riedificato con la chiesa, che venne dedicata ai SS. Martiri Vincenzo ed Anastasio, e da Abbazia dei Benedettini venisse cambiata in un priorato dei Padri Serviti”.

La chiesa ricostruita non doveva essere molto grande, ad una navata sola, come si vede in un disegno del 1700 presente nell’archivio parrocchiale. Il presbiterio, piuttosto piccolo, era di forma rettangolare. L’edificio risultava più basso, con tetto in travi di castano.

Nel 1788, i frati Serviti si trasferirono a Como, per ricongiungersi con i confratelli del convento di S. Gerolamo e vendettero il Conventino ai signori Bianchi, mentre la chiesa fu ceduta alla parrocchia, in quanto più grande e in migliore stato della chiesa di S. Lorenzo, che si trovava nella località ora chiamata Chiesa rotta.
Così cambiò ancora il santo titolare: i SS. Vincenzo ed Anastasio cedettero il posto a S. Lorenzo.
Qui venne portato l’altare ligneo barocco, che ancora si può ammirare, il crocifisso, la beata Vergine della Cintura e l’altare di S. Apollonia.

Interno Chiesa di San Lorenzo
La popolazione aumentava e la chiesa ormai era insufficiente, per cui nel 1888 si incominciò un lavoro di ingrandimento e di restauro: si abbattè la volta per innalzare il soffitto dell’edificio e lo si ricostruì inchiodando alle travi piccole listerelle di legno intonacate con stabilitura; sfondando le pareti laterali, si aggiunsero due navate, che purtroppo restano nascoste al celebrante dai quattro mastodontici pilastri, che sostengono il tetto; il presbitero rettangolare venne ingrandito con un’abside semicircolare.
La chiesa, però, non aveva la sagrestia; si rimediò all’inconveniente con un tratto di cantina donato dal sig. Angelo Lafranconi, divenuto proprietario del Conventino. La volta e le pareti furono affrescate e decorate da Luigi Tagliaferri nel 1915.
Il tetto di tegole di Voghera non resistette a lungo e l’acqua penetrata nella chiesa rovinò le decorazioni.

Negli anni ’60 Oreste Broggi, decoratore di Abbadia, rinfrescò l’interno, ma il tetto lasciava sempre penetrare acqua, per cui il deterioramento continuò: si decise di rifarlo completamente con ardesia della Valmalenco nel 1980, ma ormai le decorazioni e gli intonaci erano ridotti in cattivo stato.
Agli inizi del  nuovo secolo una importante opera di restauro ha rimediato al degrado

Fonti: Abbadia Oggi – anno VI – N. 4 – 21 Luglio 1987

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Le Campane della Chiesa di San Lorenzo

Abbadia: I “Monoliti” di Chiesa Rotta

martedì, Aprile 10, 2012 @ 05:04 PM
aggiunto da Abbadia

 

Abbadia: I massi di Chiesa Rotta
In località Chiesa Rotta, al numero civico 2, sul lato sinistro della Provinciale 72, in direzione Mandello Lario, due massi di ghiadone sono posti a delimitare l’accesso al giardinetto di una casa.
Fin qui nulla di strano se non fosse che più di uno storico, tra cui Oleg Zastrow (insigne studioso di storia locale), teorizzano che i due pilastri, alti rispettivamente 131 cm. e 134 cm., risultano essere stati in origine coperchi di sarcofaghi di epoca tardo-romana.
Osservandoli bene si possono notare la cupside e le modanature laterali, che danno l’idea di una piccola arcatura.
I fori rettangolari verso l’alto dei monoliti, testimoniano il fatto di essere stati utilizzati come montanti per magli in un’officina dove si lavorava il ferro.
L’ipotesi è confermata anche dal fatto che in Navegno (sul monte di Borbino), esisteva una miniera e nei pressi, un cascinale, probabile sede di un’officina metallurgica.
Chissà quante volte siamo passati accanto a questi reperti e non li abbiamo neppure degnati di uno sguardo; il nostro passato è composto anche da cose apparentemente semplici, che meritano di essere conosciute.

La Castagna: un alimento importante per le generazioni passate

sabato, Marzo 17, 2012 @ 01:03 PM
aggiunto da admin

Le castagne sono il tipico prodotto autunnale: cadono spontaneamente dall’albero da settembre a dicembre.
I prodotti derivati, come la farina di castagne e le castagne secche, possono essere conservati a lungo e si trovano tutto l’anno.
Per centinaia di anni le castagne hanno rappresentato la principale fonte alimentare delle popolazioni del Lario  durante l’autunno e l’inverno, tanto da meritarsi l’appellativo di “pane dei poveri”.
E’ infatti l’elemento base non solo per moltissime ricette tipiche del luogo, ma è stato utilizzato in passato anche come ingrediente di medicamenti e derivati.

Vista l’importanza di questo alimento, presentiamo una ricerca approfondita basata su un lavoro di Marina De Blasiis ed originariamente pubblicata sul sito della Proloco di Lierna.

Il Castagno
Proprietà e Uso delle Castagne
La Coltivazione e la Raccolta delle Castagne
Lavorazione delle Castagne
La Castagna come “Pane dei Poveri”
Leggende sulle Castagne
Ricette con le Castagne

Corenno Plinio: La chiesa Parrocchiale

sabato, Gennaio 28, 2012 @ 03:01 PM
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Chiesa di Corenno Plinio

La chiesa parrocchiale, dedicata a san Tommaso di Canterbury, sorge lungo una via di comunicazione importante che collega Lecco con Colico attraverso la Valsassina e da Colico portava sia in Valtellina sia nei Grigioni attraverso i passi sopra Chiavenna. Si trova vicino al castello-fortificazione e quindi era probabilmente in origine una chiesa castellana come quelle di sant’Antonio abate vicino al castello di Vezio e san Leonardo vicino al castello di Orezia a Dervio, per questo motivo comunicava con la fortezza nella parte settentrionale.
Accanto al castello si era stabilita la famiglia dei conti Andreani a cui era stato infeudato il territorio, che divennero i mecenati di Corenno come succedeva nei grossi comuni di quell’epoca. Essi esercitarono un diritto di juspatronato sulla chiesa e quindi intervennero sull’evoluzione edificatoria e artistica. Il loro stemma è riprodotto a rilievo sul fronte marmoreo delle loro tombe e si ritrova ripreso su alcuni oggetti liturgici. In modo particolare è presente sopra l’affresco cinquecentesco della “Madonna in trono” sul lato meridionale. Il committente di questo affresco eseguito nell’anno 1538 è appunto Sigismondo Andreani, definito “fisicus”. Si ricorda anche un Giovanni degli Andreani “fisicus” che nel 1487 si era trasferito a Bellano.La chiesa fu edificata alla fine del XII secolo, negli anni immediatamente successivi alla morte e alla canonizzazione di san Tommaso. Il santo venne assassinato nel 1170 nella cattedrale di Canterbury dai sicari di Enrico II d’Inghilterra perché fedele al papato si opponeva alle sue ingerenze nella gestione della Chiesa locale.
corenno - stemma famiglia AndreaniIl Liber Notitiae Sanctorum Mediolani, verso il 1290 menziona una chiesa nella pieve di Dervio dedicata a San Tommaso martire morto da pochi anni. (In plebe derui, loco cortono, ecclesia sancti thome martyris). In origine la piccola chiesa legata alla famiglia del feudatario come cappella privata era anche destinata a funzioni funebri o a pratiche di devozione popolare. Le messe e i battesimi della comunità erano invece celebrati nella chiesa prepositurale di Dervio. A partire dal 1327 divenne una chiesa effettiva con un proprio cappellano, sempre legato alla famiglia Andreani. La chiesa fu riconsacrata il 3 novembre 1355.
Nel 1566 l’arcivescovo di Milano, Carlo Borromeo, nel suo progetto di riforma della chiesa ambrosiana, la trasformò in parrocchia autonoma slegandola da quella di Dervio e nominò un curato residente.

La chiesa è correttamente orientata verso est, il luogo dove sorge il sole; guadando l’altare, si ha alla sinistra il nord, ritenuto dai latini il luogo degli infedeli, verso dove si annunciava il Vangelo durante la messa prima della riforma liturgica del Vaticano II. In uno sguardo d’insieme non appare la sua antichità perché in essa si sono effettuati interventi di ristrutturazione molto rilevanti. Di origine romanica, venne ristrutturata in epoca gotica e gradualmente perse le sue caratteristiche essenziali romaniche negli elementi importanti: la facciata, la controfacciata, il presbiterio, l’abside e il campanile.

La facciata della chiesa a capanna è stata più volte manomessa, attualmente presenta un portale costruito nel 1698. Il corpo principale della navata ha conservato l’impianto originario, ma gli affreschi che si possono ammirare oggi furono nascosti per secoli a partire dal Cinquecento. Infatti, seguendo indicazioni di san Carlo Borromeo, le pareti furono più volte imbiancate come mezzo di disinfezione in periodi di pestilenza. Va rilevato che una modesta traccia dell’originaria immorsatura absidale si è conservata, presso la congiunzione con la parete laterale settentrionale, come indica anche chiaramente l’affresco dell’Epifania, che tende a curvarsi in una significativa inclinazione, prima di scomparire dietro la lesena che regge la ricaduta dell’attuale arco trionfale. È probabile che l’ampio presbiterio tardo barocco racchiuda, all’interno della sua pianta, il disegno semicircolare di un’abside romana

Tra Settecento e Ottocento la chiesa subì altri interventi: nel 1703 si ricavò una cappella laterale dedicata a san Giuseppe e un’altra dedicata alla Madonna. Quest’ultima è di stile barocco, con altare a colonne tortili in marmo nero di Varenna. Nel 1711 si eresse l’attuale campanile e si ampliò l’abside. Tra la fine Settecento e il primo Ottocento si realizzò l’altare.

Probabilmente all’origine era stata ricavata anche una cripta per la conservazione delle reliquie. Della primitiva costruzione romanica ora si possono ammirare soltanto due belle monofore nella parete verso sud; altre serie di monofore sono scomparse già in epoca gotica.

Nel 1966 un’importante opera di restauro ha portato alla luce parte degli affreschi votivi dipinti sulle pareti tra il Trecento e il Cinquecento.

Roberto Pozzi

APPROFONDIMENTI
Gli Affreschi
Le Arche Andreani

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La storia di Corenno e del suo castello

sabato, Gennaio 28, 2012 @ 03:01 PM
aggiunto da admin

Secondo gli Statuti medievali di Dervio e Corenno del 1389 le fortificazioni di Dervio che inglobavano la torre di Orezia, giungevano anche alla vicina Corenno dove sorgeva il castello-recinto con fossato, abitazioni ed una piazza dove partiva la strada per Vestreno, quindi per la Valvarrone. Della muratura che univa il castello di Corenno a quello di Dervio di Orezia non esiste più traccia, anche se probabilmente è da identificarsi con i tratti di muratura a protezione della stradina che correva a circa quota 300 da Corenno alla località Castello per poi inerpicarsi verso la Valvarrone. Purtroppo questa stupenda strada panoramica è stata travolta dagli interventi per la formazione della Statale 36 o superstrada per lo Spluga. A Corenno, come si è detto, risiedeva la famiglia Andreani, proprietaria del Castello che aveva avuto fino dal 1271 il feudo di Corenno dall’Arcivescovo di Milano Ottone Visconti. Il cognome indicava la discendenza da un Andrea, tanto che in alcuni documenti dell’inizio del Trecento viene riportato spesso come genitivo Andree. Questa famiglia non era originaria di Dervio, ma forse proveniente dai Grigioni. Alcuni storici posero l’inizio della presenza a Dervio con la conferma del feudo di Dervio, Corenno e parte del monte di Varenna redatto il 30 maggio 1271 da parte dell’Arcivescovo Ottone Visconti a favore di Jacobo Andriani detto Foxatus. Nell’atto di fondazione della Cappellania della Madonna del Rosario, però, redatto il 12 settembre 1327 si trova che un Ruggero Andriani aveva acquistato dei terreni a Corenno ed era avo di Baldassarre, figlio di Jacobo Andriani. La loro storia fu per secoli legata a Corenno, soprattutto attraverso il castello e la chiesa di san Tommaso di Canterbury e le Arche Andriani.

Nel 1039, secondo l’Arrigoni[1] Dervio, Corenno e Dorio sono alla dipendenza di Bellano. “Sulla fine della primavera la Repubblica delle Tre Pievi – Dongo Gravedona e Sorico -, posta in acqua le navi ben fornite di armi e armati, assieme ai Valtellinesi, prendono di sorpresa il paese di Dorio, e poi la flottiglia si spinge a Corenno, che trovato indifeso, occupano e saccheggiano, meno un forte sovrastante dov’eransi ritirati gli abitanti colle migliori masserizie. Il castello si arrese dopo tre giorni per mancanza di vitto e dell’aiuto dei bellanesi.” I pievesi e i Valtellinesi, per vendicarsi di un attacco subito da parte di alcuni paesi della riviera di Lecco legati al potentissimo arcivescovo di Milano, Ariberto da Intimiano, sconfissero gli abitanti di Corenno e Dervio ed entrarono in possesso del castello e del paese di Dervio, che si era arreso. Così gli abitanti, Dervio, Corenno e Dorio, dopo aver sostenuto quattro mesi di assedio e aver respinti replicati assalti, colla condizione di aver salva la vita e le masserizie cessarono di appartenere a Bellano e per alcuni anni fecero parte della repubblica pievese per cadere poi sotto il dominio dei milanesi

Nel Duecento e nel Trecento: con l’indebolimento del potere vescovile e la progressiva indipendenza dei Comuni, vi fu un periodo di grande confusione. Per la sua posizione strategica, al confine tra gli opposti interessi di Guelfi e Ghibellini, la sponda orientale del Lario fu teatro di scontri tra famiglie rivali dei Torriani e dei Visconti, che ambivano al dominio di Milano.

Secondo Antonio Maria Stampa che scrisse nel 1715 e che consulta altri storici come il Corio, Il Giovio, il Moreggia e il Ballerini tra gli altri, nel suo “Ristretto ovvero piccola cronaca degli annali gravedonesi”, ed. S. Monti, “il Prencipe Barnabò dapprima ordinò ai Comaschi di invadere Gravedona, ma poi fu inviata una missione per mitigare l’ira di detto principe, “principiarono la fabbrica del Castello di Rezzonico e quello di Corenno e furono terminati nel 1357, l’uno per trattenere li comaschi, acciocché non si inoltrassero con lasciarsi un castello alle spalle, e l’altro per frenare ed opponersi a quelli di Bergamo e Valsasina, che per quella parte dovevasi inoltrarsi, come altresì fortificarono Varenna e Bellano.”

Nell’anno 1364, tramontò definitivamente il potere temporale dell’Arcivescovo di Milano, anche Corenno venne ceduto ai Visconti il cui potere si stava affermando in modo stabile sul territorio. In quel periodo la comunità di Corenno era unita a quella di Dervio come è attestato negli Statuti comunali del 1389 che menzionano il castello e il suo fossato.

Nel 1402 morì Gian Galeazzo Visconti, massimo esponente della famiglia, che aveva sposato una figlia del re di Francia e ottenuto il titolo di duca di Milano. Con la sua scomparsa, si inaugurò un periodo di grande incertezza politica nel ducato. Alcuni paesi della riviera, come Dervio, passarono sotto il dominio dei Rusconi di Como. Corenno invece venne infeudata ai Malacrida, assieme a tutto il territorio settentrionale del Lario. Da questa data si staccò da Dervio e rimase comune indipendente per ben cinque secoli. In seguito, per un trentennio i Veneziani cercarono di conquistare le terre di Milano, con una fortuna di breve durata. Riuscirono soltanto ad occupare la Valsassina e a giungere fino al lago per mettere navi in acqua e fare di Lecco, secondo il loro sogno “una venetia piccinina”.

Nell’anno1450 Corenno giurò fedeltà a Francesco Sforza, nuovo Duca di Milano. Nel 1481 la sponda del Lario da Corenno a Mandello venne ceduta in feudo a Pietro dal Verme, in seguito al suo matrimonio con la tredicenne Chiara Sforza. Cinque anni dopo, Chiara, senza figli, avvelenò il marito, entrò in possesso delle terre e si risposò. Dal suo secondo matrimonio nacque un figlio che, oberato dai debiti, vendette Corenno e tutti i suoi possedimenti a Francesco Sfrondati, membro del Senato di Milano. (M. Casanova)

Tra gli anni 1527 e 1532, mentre ormai le Signorie crollavano sotto l’urto dei grandi regni che si erano formati Oltralpe, un audace personaggio, divenuto leggendario spadroneggiò sul Lario. Era Gian Giacomo Medici, detto ironicamente il Meneghino (piccolo Medici). Questi attaccava le terre fedeli a Milano, terrorizzando e depredando i paesi del lago che si rifiutavano di rifornire le sue truppe. Per quanto sorprendente, il Meneghino era zio di S. Carlo Borromeo e fratello del papa Pio IV. Quest’ultimo per rimediare alle sue scellerataggini concesse importanti indennizzi ai Comuni saccheggiati dal fratello.[2]

Nel 17 febbraio 1532 vi fu un grande scontro fra la flotta medicea e quella ducale. Pur senza aver subito gravi perdite, i medicei ebbero la peggio. Il 18 febbraio i medicei tentarono di sbarcare a Corenno, ma la popolazione li respinse. La flotta medicea si spinse allora verso Bellano e Colico che furono saccheggiate, dove riuscirono a razziare solo miglio e castagne. Dopo la presenza del Meneghino si fece sentire sul territori più forte la dominazione Spagnola preoccupata della difesa dai Grigione e intenzionato ad unire il Milanesado con i suoi possedimenti nelle Fiandre senza passare dalla nemica Francia.

Il comandante Pedro Henríquez Acevedo Conte de Fuentes, giunse a Milano nel 1600 con i poteri di dirigere la politica spagnola in Italia. Era un governatore di alto vigore, fortunato combattente e fidato consigliere del re. Nelle Fiandre dal 1595 aveva avviato un programma di opere di fortificazione, che rimase la sua principale base per la gestione della politica. Gli obiettivi della sua politica nel Milanesado erano soprattutto la sicurezza del paese con la costruzione di grandi opere di fortificazioni, utilizzando perfino i campanili e il presidio dei confini con la costruzione di piazzeforti.

A Colico, sul monte Monteggiolo fece costruire una grande fortezza per difendersi sia dalla Repubblica delle tre Leghe sia dai Veneziani che passavano di lì per commerciare con il nord. Prima aveva fortificato le città (Novara, Mantova, Pavia e Cremona) e aveva creato quattro nuove piazzeforti (a Soncino, a Mozzanica, a Casalmaggiore e a Colico). Per realizzare un efficiente sistema difensivo dapprima creò delle imprese militari che dovevano provvedere al funzionamento delle caserme. E in questo suo progetto si scontrò con la resistenza delle comunità costrette alla tassa di alloggiamento delle truppe. E in secondo luogo dovette provvedere alla sistemazione dei percorsi tra le città e i presidi. Scelse il Monteggiolo appartenente al contado di Como perché era raggiungibile via lago con imbarcazioni.

Nel 1606 Acevedo propose di far costruire una strada da Milano a Colico e incaricò Sitoni e Vacallo di “visitar los caminos que de Como y de Leco van al dicho fuerte”. Dapprima pensò a una strada che da Como arrivasse a Colico lungo la sponda occidentale, ma le comunità si opposero e proposero una strada sull’altra sponda. A Tolomeo Rinaldi, ingegnere camerale e Gaspare Baldovini ingegnere di fortezze si chiedeva di trovare la strada migliore, la più breve e la meno dispendiosa. Essi calcolarono per la sistemazione della strada della sponda occidentale £. 210.000 e quantificarono per la strada orientale una spesa di £. 82.000. Rinaldi controllò che per il tratto da Colico a Dervio si spendeva poco per il passo di un cavallo da soma. Per il difficile percorso da Dervio a Bellano si poteva usare la via della Muggiasca, con un ponte al Portone, e uscire a Cortenova in Valsassina, da cui si poteva andare agevolmente in piano tenendo a sinistra il Pioverna fino ai Forni di Introbio, dove occorreva rompere il Sasso del Bajedo e poi seguire la strada fino a scendere a Laorca e finalmente a Lecco. I Valsassinesi si opposero tenacemente a questo progetto. Il Giussani afferma che fu realizzato, mentre l’Arrigoni nega la sua esistenza. Però Pedro Hernriquez Acevedo, nel 1610 mandò truppe al Forte per la Valsassina perché era il tragitto più breve e le comunità avevano aggiustato la strada. In quello stesso periodo (1592 – 93) i veneziani avevano costruito la strada Priula  nella Val Brembana che congiungeva Bergamo con lo sbocco nella Valtellina poco distante da Morbegno.

Nel 1607 probabilmente si effettuò un adeguamento di tutta la strada. Questo un ulteriore indizio di adeguamento del percorso scelto pare testimoniato dal rifacimento del ponte di San Quirico di Dervio, sul torrente Varrone, eseguito nel 1607. In tal modo restava aperta una pista per Fuentes, più breve del percorso da Como poiché lunga 25 miglia da Lecco al Forte e 30 miglia da Lecco verso Milano. L’onere della manutenzione e del miglioramento ricadeva però sui comuni, in seguito alle ingiunzioni dello Stato.

Già nel 1610 vi passarono 3000 soldati che ne approfittarono per alcune scorrerie risalendo da Introbio fino alla valle del Bitto, e allarmando i Grigioni che rafforzarono i presidi di Cosio e Mantello. passarono anche compagnie scaglionate, che sostarono per esempio a Margno e a Crandola.

Nel 1620 più di 250 cavalieri vi transitarono diretti a Fuentes per la guerra di Valtellina.

Nel 1629 le truppe dei Lanzi dirette alla conquista di Mantova seguirono lo stesso percorso a ritroso. Gettarono un ponte di barche sull’Adda vicino a Dubino e, dopo aver saccheggiato Colico, passarono per il sentiero dell’oratorio di San Rocco e per la strada di San Nicolò, sopra la Cà, quindi da Dorio proseguirono a Corenno e salendo da Bellano, entrarono per la Valsassina. In un sol giorno arrivarono a Cortenova. Una volta a Lecco parecchi si dispersero e si dedicarono al saccheggio verso la chiusa a sud e verso l’Abbadia a Nord. Infine superarono il ponte di Lecco sull’Adda intorno al 12 ottobre.

Alla fine di agosto 1629 il governatore Spinola Doria aveva invitato il conte Serbelloni a visitare la strada: “di Colico e di Valsasena, acciò la cavalleria alemanna, quando verrà l’occasione possa passare facilmente per terra a Mandello e di là a Lecco, ove sta preparato un ponte”. Ma il Collalto non stette ad attendere l’ordine dello Spinola e il 12 settembre le truppe del Mèrode erano già a Lecco, seguite poi da altre compagnie, che sommavano a 25.000 soldati e con le famiglie 40.000. A Milano si seppe di questo passaggio il 10 settembre da un cavaliere corso da Forte Fuentes, dove molti soldati fuggirono e si ripararono a Lecco, unendosi alla sopraggiunta compagnia del Rainoni per il controllo del borgo.

Nell’autunno del 1630, il comune di Dervio ottenne che l’alloggio di un corpo alemanno, risiedesse piuttosto a Bellano per evitare. “un’immensa rovina, il totale sterminio della povera gente, già afflitta da inenarrabili miserie”.

Nel 1631 analogamente avvenne con il Rohan: battuti gli spagnoli di Fuentes a S. Martino di Morbegno, ci si attendeva che scendessero lungo la solita pista, cosi che i valsassinesi corsero alla difesa di Portone; invece in Rohan si acquartierò in Mantello e sul lago di Mezzola. Nel febbraio le truppe francesi si divisero in due tronconi: uno assalì la Torretta di Curcio e liberò la strada del lago; l’altro risalì la valle del Bitto, valicò il Legnone e scese a Premana, unendosi a Introzzo con i cavalieri saliti da Dervio, i 6000 seguirono ancora la strada di Bellano, batterono il presidio del Portone e, devastando la Valsassina, proseguirono fino al Ponte di Lecco, dove furono fermati dal mastro di Campo Ippolito Crivelli, di stanza a Lecco, e dal capitano Paolo Sormani.

In quel periodo a Corenno le mura del castello erano presidiate da una compagnia spagnola guidata dal capitano Pedro de la Ringa, che con sbarramenti riuscì ad evitare i saccheggi nel borgo. Questi fece abbattere case e stalle poste non lungi dal castello perché non servissero al nemico come luogo per posizionare le batteria e distruggere il paese.

Nel 1633, infatti fu ordinato al comune di Dervio di accomodare il suo tratto di strada per la cavalleria del Balosso diretta in Alsazia sotto pena che “verrà fatto sostare e mantenere in comune il detto corpo oltre al pagamento dei danni”. Nell’anno 1633, la strada pur disagevole aveva però anche valenza economica, perché vi passarono 70 cavalli carichi di armature dirette da Milano al Tirolo. Secondo antica tradizione serviva all’approvvigionamento delle ferriere di Lecco con i materiali ferrosi scavati o lavorati nella valle.

Non venne trascurata anche l’alternativa della navigazione, se attuata con vento favorevole, sia per i trasporti, sia per esigenze militari, come avvenne fra Lecco e Dervio ancora nel 1704 contro il Davia per 700 dragoni e corazzieri del Toralbe, inviati dal principe di Vaudemont, che proseguirono per la strada costiera.

I miglioramenti, che anche parzialmente erano stati condotti sull’intero tragitto, vennero così sfruttati non solo dagli Spagnoli ma anche dai loro nemici. I valsassinesi e i lecchesi in questi anni riportarono enormi devastazioni con gravi ricadute nell’economia specialmente quella mineraria e metallurgica, a discapito di tutto lo Stato.

Nel 1646 ai paesi della Riviera furono richiesti 17 soldati guastatori per il riatto delle strade.

Nel 1704 sempre per Lecco e la Valsassina passarono i 280 cavalieri imperiali del marchese Davia dirette all’assedio di Fuentes, pur poi fallito per l’arrivo da Lecco di 50 dragoni a piedi;

Nel 1706 contro il forte Fuentes, ultimo ad arrendersi nello Stato, vi transitarono le truppe del barone Kraustenein con 300 fanti dei cavalieri Carlini, Zozel e Frinstein e a nove giorni dopo i due cannoni con cui abbattere Fuentes.

Quando nel Settecento la fortificazione di Corenno perse ogni funzione difensiva, secondo il Catasto Teresiano il terreno venne destinato a vigna. La muratura ad ovest fu poi abbattuta per consentire la vista sul lago e per una maggior esposizione al per le viti.

Entro le mura del castello, il 27 e 28 giugno 1859 alloggiò il Corpo delle Guide a Cavallo della Brigata Garibaldi che accompagnava il loro generale che da Lecco si stava recando in Valtellina: in quell’occasione il comune dovette sborsare 130 razioni di vino per i soldati, 77 di fieno vecchio e 3 somme avena per i loro cavalli.

Gli scrittori parlano del Castello

Paolo Giovio che nel Cinquecento in giro nelle terre che Francesco Sfondrati aveva ricevute in Feudo da Carlo V, per descrivergliele poi in Larius, scopriva che “adiacet Corenum cum arce”, cioè che il borgo era addossato a una roccia e aveva una rocca.

Nel Seicento, Sigismondo Boldoni il quale, pure con il suo Larius, ci informa che sul punto più alto c’è una rocca per la più parte rovinata; ma, aggiunge, giocondissima per le dolci aure che vi spirano.

Nel Settecento è la volta di Anton Gioseffo Della Torre di Rezzonico a narrare, ancor egli con Larius, che la rocca di Corenno fu “munitissima, et plura bellorum tulit incomoda” e che a bruciar Corenno fu il lecchese Francesco Morone, comandante delle truppe cesaree.

Ai tempi di Anton Gioseffo la rocca di Corenno era già “semidiruta”.

Così nell’Ottocento Ignazio Cantù in Quattro giorni in Milano può rilevare: “Serba Corenno le reliquie del castello appartenente al conte Andreani-Sormani”.

Roberto Pozzi

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[1] G. Arrigoni, Notizie storiche della Valsassina e delle terre limitrofe, milano 1840

[2] M. Casanova e G. Pensa, Corenno Plinio, Bellavite.

Castello di Corenno: Indagine Archeologica

giovedì, Gennaio 26, 2012 @ 12:01 PM
aggiunto da admin

Nel 2005 si realizzò un’indagine archeologica nell’area della fortificazione medioevale. Dallo scavo di circa 200 mq. all’interno della cintura muraria a ridosso del perimetrale est è emersa una stratificazione di sette strati rappresentativi di un arco di tempo che va dall’età del bronzo a un secolo fa.

Nello strato I si è rinvenuta un’imponente struttura di pietre di un muro lungo complessivamente 17 m. e largo da 1 a 3,5 m. Gli archeologi lo definiscono un pietrame disposto a secco senza matrice con pietre di forma appiattita e spigolosa. Tra queste pietre hanno rinvenuto frammenti ceramici di età preistorica. La muratura in gran parte asportata poggia sullo strato naturale (terra e roccia) e cinge il terrazzo naturale addossandosi alle ghiaie sterili del fianco est e sud del dosso. Si tratta di un grande muro a secco che recintava la parte alta del promontorio. Si sono recuperati: materiali ceramici, frammenti di pietra ollare, resti ossei di animali. Si può quindi ipotizzare che si tratti dei resti di un castelliere preromano simile a quello di Ramponio in Val d’Intelvi.
Sappiamo infatti dallo storico Tito Livio che nel nel 189 a.C. Marco Claudio Marcello conquistò i territori attorno a Como, e ben 28 castellieri (castella) del territorio si sono consegnati ai Romani dopo la resa degli Insubri. Il console fu magnanime con i vinti e i Comensi vennero legati a Roma da un foedus, un vincolo federativo, nel rispetto delle autonomie locali. In cambio poté contare sulla loro assoluta e perenne fedeltà.

Dal I al II strato vi è uno iato fino all’età medioevale, segno possibile di un abbandono della fortezza in quella zona in relazione alla presenza romano e a un lungo periodo di pace sul territorio.

Al II strato, a parere degli archeologi, è riconducibile una parte di un muro in pietre legate da malta della lunghezza di m. 4,65. Questa struttura è visibile attualmente nella porzione inferiore dell’angolo sud est del castello. È possibile che questo muro fosse collegato con la torre più antica verso Nord. È anche probabile che per questa costruzione si sia usato il materiale proveniente dalla demolizione della struttura dell’epoca preistorica.

Poi c’è una fase di abbandono e nella fase VI vi è la costruzione dell’imponente castello recinto che va a inglobare la torre preesistente. Questo muro della fase VI poggia direttamente sulla fondazione della fase muraria di fase II. Nella fase VII si sono ritrovati resti di piccoli edifici agricoli della fase IV.

I reperti trovati nella zona I risalgono all’età del bronzo, circa del IX secolo avanti Cristo. Se si tiene in considerazione il materiale ceramico recuperato, si osserva che vi sono frammenti relativi alla fase finale dell’età del Bronzo. Quindi è lecito supporre che l’opera in muratura sia da riferire al perimetro di un castelliere che, con buona probabilità, occupava tutto il rilievo del castello di Corenno, si tratta quindi di un’imponente struttura in pietre a secco, visibile lungo tutto il lato Est dello scavo e lungo il lato corto sud. Si tratta di una massicciata costruita di pietre di media e grandi dimensioni che cinge il dosso naturale precedente all’edificazione del castello. La struttura parzialmente asportata poggia direttamente sullo strato naturale. Il castelliere è un piccolo insediamento o villaggio, fortificato protostorico (età del Bronzo e del Ferro) sorto in genere in posizione elevata facilmente difendibile, in cui una difesa naturale veniva sfruttata e rafforzata dall’opera dell’uomo. I castellieri possono essere muniti da una o più cinte murarie, costruite a secco, con la tecnica detta a sacco. All’interno del castelliere a volte è possibile individuare alcune strutture a terrazzamento che formano zone piane adatte alla costruzione delle abitazioni, della quali tuttavia non si sa molto.

(Il testo è ripreso da “Carta archeologica della Provincia di Lecco. Aggiornamento, anno 2009, pg 59 – 66)

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