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Dervio: Il Paradiso della Vela

mercoledì, Gennaio 11, 2012 @ 02:01 PM
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paradiso della vela

Dervio è uno dei luoghi migliori a livello europeo per la pratica degli sport velici sul lago, grazie all’ottima posizione geografica sempre ventilata, perciò è spesso sede di regate di livello internazionale.
La “Breva”, il vento costante da sud che spira nelle giornate di bel tempo è ideale per i velisti ed il “Tivano”, il vento da nord è la delizia di surfisti e kiters, con questi motori naturali sono garantite le condizioni ideali per veleggiare.
Sono presenti a Dervio tre club velici e scuole di vela di ottimo livello: il “Centro Vela Dervio”, la scuola di vela della “Lega Navale ltaliana” e l’”Orza l/linore”.
A queste vanno aggiunte la scuola di windsurf e kitesurf “Fun surf Center” e l’area kitesurf dell”associazione “Kitesurf Dervio’.
E’ quindi possibile l’apprendimento di questi sport, con corsi nei weekend o settimanali, oppure la pratica amatoriale e la partecipazione a regate di carattere da zonale a internazionale.

Per completare i servizi nautici vi sono due porti con circa 200 posti barca ed alcuni cantieri per il rimessaggio e la manutenzione dei natanti,

Grazie alle bellezze naturali ed artistiche, i recenti interventi infrastrutturali e gli insediamenti ricettivi, Dervio offre ai velisti i servizi necessari, ma anche relax e divertimento con la possibilità di bellissime gite sul Lago di Como.

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Proprietà e Uso delle Castagne

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 11:01 PM
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Le castagne fresche hanno un elevato contenuto calorico (160 Kcal ogni 100 g di prodotto edibile); il saccarosio (6,7 g/100 g) è in quantità più elevata che in frumento, noci e patate ed è il principale zucchero mentre glucosio, fruttosio e maltosio sono presenti in quantità minime.
Per la ricchezza di glucidi i frutti hanno proprietà energetiche e sono perciò molto efficaci nelle astenie fisiche e intellettuali, per chi pratica sport o è soggetto a stress, mentre sono sconsigliati per i diabetici.

La farina sopperisce, nella preparazione di dolci e minestre, al fabbisogno di carboidrati anche nei soggetti che presentano intolleranza ai cereali.La corteccia e il legno del castagno, come la pelle dei frutti, contengono un’alta percentuale di tannino e le loro proprietà sono di tipo astringente. Per questo sono raccomandate le castagne secche nella cura delle diarree.Le foglie del castagno in infusione sono utilizzate per curare tossi e bronchiti.
L’acqua in cui sono state cotte delle castagne puo’ essere usata dopo lo shampoo per esaltare i riflessi dei capelli biondi.
Al forno o bollite, aiutano a combattere la stanchezza tipica d’inizio autunno perché sono ricche di magnesio e manganese.
Ricche di carboidrati, aminoacidi, sali, vitamine possono essere un gradevole sostituto del pane integrale. Si legano bene con verdure e ortaggi. E’ invece sconsigliata l’associazione con frutta acida, proteine animali, pane, zucchero e vino (anche se l’abbinamento è classico) perché può scatenare fenomeni fermentativi.
Non è così usuale e non a tutti può piacere il sapore della castagna cruda, ma addensa la saliva e forma anticorpi per proteggere dai malanni stagionali, tonifica i muscoli, i nervi e le vene.

Le foglie del castagno, raccolte in aprile e maggio, possono essere usate come rimedio per la tosse perché sono sedative e danno sollievo. Basta mettere in un litro di acqua bollente una manciata di foglie essiccate, filtrare bene e bere l’infuso.
Il fiore verde/giallo del castagno, che sboccia all’inizio dell’estate, secondo la fitoterapia di Bach aiuta a rinascere: si chiama Sweet Chestnut ed è efficace, se ci si crede, soprattutto per restituire la speranza nei momenti di sconforto.
Si può rinforzare lo scheletro e curare i reumatismi facendo bollire in due litri di acqua due manciate di foglie fresche di castagno e una decina di ricci, per venti minuti; aggiungere il tutto nell’acqua della vasca, facendo questo bagno almeno due volte alla settimana.
La polpa della castagna, cotta e setacciata, ha un effetto emolliente se applicata sulla pelle; la corteccia dell’albero invece, incisa, staccata e fatta seccare (in primavera o in autunno, i periodi di riposo della pianta) ha un effetto astringente e decongestionante.
Il macerato di gemme di castagno, ottenuto dai tessuti embrionali in crescita della pianta è un utile ricostituente per essere più energici e ricaricarsi nei periodi di stress.

Dal legno si ricava, per distillazione, alcool metilico (spirito di legno); il legno è inoltre impiegato nella produzione di pasta di cellulosa. Sovente l’interno dei tronchi di castagno si infradicia in un composto terroso e scuro, per effetto della carie; si forma così un prezioso terriccio per giardinieri (la cosiddetta terra di castagno), che viene usato nell’invaso di piante richiedenti terreni soffici e ricchi di humus.

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La coltivazione e la raccolta delle castagne

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 11:01 PM
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raccolta castagneIl castagno era considerato fonte di alimento fondamentale per le popolazioni della montagna.
Veniva innestato e potato regolarmente, si ripulivano le piante del sottobosco che avrebbero potuto danneggiarlo, si estirpavano le erbacce, il terreno veniva pulito, concimato, e falciato con cura. Si utilizzavano semplici attrezzi per lavorare la selva, cioè i boschi di castagni: il rastrello, la falce, la scopa  realizzata con ramoscelli di betulla.
Se gli alberi si trovavano su terreni ripidi, per favorire la raccolta delle castagne  si preparavano, in fondo alla selva, delle siepi con fascine di legna e questo per permettere alle castagne cadute di raccogliersi e non rotolare troppo in basso, disperdendosi lungo i pendii o rotolando in proprietà altrui.

La raccolta delle castagne iniziava solitamente tra la fine di settembre e la prima settimana di ottobre e continuava fino a novembre. Al proprietario della selva spettava il raccolto e, tutta la sua famiglia era impegnata nel lavoro.
raccolta castagneLa raccolta avveniva principalmente a mano. I ricci che rimanevano chiusi si battevano con l’aiuto di rastrelli (sbatador, rastrello senza denti) e bastoni (batidor, mazzuolo con manopola di traverso). Le castagne si mettevano dapprima in ceste e panieri di vimini intrecciati (cavagnöi) e in qualche piccola gerla (berla) per poi essere messe in grosse balle di juta.
La raccolta veniva fatta esclusivamente nella propria selva; nessuno osava raccogliere le castagne nella proprietà altrui, perché, colti sul fatto, si veniva allontanati con rimproveri e minacce o, addirittura, a sassate.
Chi era in possesso di molte selve ne cedeva una parte a un’altra famiglia in cambio di un modesto compenso.
Solo dall’undici di novembre la raccolta era libera e le selve erano aperte a persone e bestiame. Le persone munite di cesti e sacchi raccoglievano castagne ovunque ne trovassero; era consentita la spigolatura delle castagne nelle selve e nei prati.
Nel periodo della maggior caduta i contadini si recavano due o più volte al giorno nella selva: facevano questo lavoro per 2 o 3 settimane. Le donne avevano un piccolo sacco che legavano  alla vita e quando era pieno lo svuotavano nella gerla.
Ai ragazzi spesso veniva assegnato il compito di raccogliere le castagne: essi si recavano nelle selve muniti di ceste al mattino, prima di andare a scuola, e al pomeriggio dopo le quattro, finite le ore di lezione.

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Lavorazione delle Castagne

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 11:01 PM
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Essiccatura delle castagne
schema essicatoioDopo la raccolta, le castagne venivano portate all’essiccatoio (caselèt di castegn o secadùu) a seccare sui graticci (graa): era una piccola baita in muratura, formata da quattro muri in pietra, un tetto solitamente coperto da paglia, per esigenze di tiraggio, ma talvolta anche da lastre di pietra, con un alto locale diviso a metà in verticale da un pavimento formato da un graticcio (da qui il nome graa) sul quale venivano sistemate le castagne. La graa era formata da una serie di travi come quelle che sostengono i soffitti delle abitazioni normali, poste a un’altezza da terra che varia dai due metri e mezzo fino ai tre metri.
Sulle travi si posavano senza fissarli listelli di nocciolo (scudech) o rami di castagno (come nell’essiccatoio di Genico a Lierna), collocandoli abbastanza vicini per impedire la caduta delle castagne, ma abbastanza distanti per consentire il passaggio dell’aria calda, generata dal fuoco che veniva poi acceso a terra.
Le dimensioni dell’essiccatoio variavano da 2 a 4/5 metri di lato in rapporto alla quantità di castagne che il fondo poteva produrre, e potevano contenere circa 10/15 gerle da 30 kg di castagne, circa 4 quintali.
L’essiccatoio poteva essere ad un solo vano e in questo caso le castagne venivano scaricate vada una finestra esterna, aperta più in alto del graticcio. Se invece presentava un vestibolo nel quale si potevano depositare attrezzi, vestiti da lavoro, cibarie ecc., la graa era accessibile da questo con una scala a pioli.
Via via che la raccolta procedeva le castagne venivano scaricate sul graticcio e distribuite a formare uno strato uniforme. Lo strato delle castagne sul graticcio non doveva essere inferiore ai 40 cm, perché una parte del calore si sarebbe dispersa senza essere utilizzata, e non doveva superare i 60 cm perché la temperatura nella zona superficiale non sarebbe stata sufficiente all’essiccamento e l’umidità prodotta dalle castagne avrebbe favorito il rapido sviluppo di muffe.

funzionamento essiccatoioL’essiccamento avveniva in questo modo: nel locale sottostante c’era un braciere dentro il quale si mettevano a bruciare grossi ceppi (sciòcch) mescolati alle bucce secche delle castagne (pell di castegn) dell’anno precedente per soffocare la fiamma. Il calore distruggeva in breve le larve della Carpocapsa splendana (verme delle castagne). Ceppi e bucce alimentavano il fuoco, le bucce regolavano la combustione dei ceppi in modo che “el brasàss “, cioè bruciasse senza fiamma, ma con tanto fumo.
Il fuoco doveva funzionare regolarmente e produrre fumo per dare alle castagne il giusto aroma. Se si sviluppava una fiamma troppo alta le castagne bruciavano; se il calore era troppo scarso, le castagne non essiccavano bene e rischiavano di ammuffire nel corso dell’inverno.

Nei tempi precedenti la prima guerra mondiale la maggior parte delle famiglie andava a vivere nell’essiccatoio portando con sé soltanto la padella per fare le caldarroste, il paiolo per far bollire le castagne e il bariletto per l’acqua; per tutta la durata della raccolta non mangiava altro.
Attorno al rustico focolare si raccoglieva un tempo l’intera famiglia e, mentre si seguiva con attenzione l’essiccamento delle castagne, si cucinava nella marmitta appesa alla catena che pendeva dalla graa.
L’essiccatura delle castagne era un’operazione piuttosto difficile perché occorreva girare spesso i frutti per non farli seccare troppo.
La durata dell’essiccazione variava dai 20 ai 30 giorni. Dopo le prime due settimane di fuoco si procedeva al rivolgimento delle castagne sul graticcio. Le castagne venivano scaricate dalla graa avendo l’avvertenza di tenere grossolanamente divisi lo strato superiore da quello inferiore in modo da poterla ricaricare in posizione invertita. Le operazioni di essiccazione poi riprendevano fino a completamento. Piccole quantità di castagne si potevano essiccare anche in casa: si mettevano nei cesti e si appendevano nella cappa dei camini così che ricevevano calore e fumo. Oppure si realizzava un ripiano di scodech come prolungamento della mensola del camino che fungeva da piccola graa.

filet castagneUn altro sistema per conservare le castagne era la produzione di filét. Il filét si faceva infilando le castagne fresche con uno spago; in questo modo, si formava una collana anche molto lunga che veniva poi essiccata appendendola a una parete o sui balconi.

Un altro metodo di essiccazione era l’uso del caniccio o metato. Il caniccio era una sorta di piccola casetta, dove a livello del terreno era sempre acceso un fuoco di legna di castagno e a circa 2 metri di altezza erano poste le castagne ad essiccare su un piano costruito da pali, sempre di castagno. In questo modo con il calore del fuoco sottostante le castagne in circa 20 giorni si essiccavano.

Pestatura e Vagliatura delle Castagne
pestatura castagneQuando le castagne erano secche si procedeva alla battitura per separare il frutto dalla buccia secca.
Radunati intorno ad un grande ceppo o vicino ai gradini della abitazione,  i proprietari delle castagne cominciavano ad infilarle in speciali “sacch de tela de ca”, tessuti appositamente con canapa grossa affinché fossero più robusti possibile.
Erano stretti e lunghi 60/70 centimetri, alla estremità interna venivano cucite due palle di stracci, si riempivano a metà poi, uno per mano, venivano battuti sul ceppo o sui gradini con movimenti ritmici da tutti i partecipanti.
Dopo una decina di minuti i sacchetti venivano svuotati e si procedeva all’altra importante operazione: la vagliatura. Con il val, cesto semipiatto a largo ventaglio che, tenuto per i manici e scrollato con gesti sapienti, con un’operazione faticosa e monotona, faceva cadere la scorza per terra, mentre le castagne restavano al suo interno. Il vaglio veniva usato dalle donne che, con abilità, lo agitavano con brevi e rapidi movimenti ritmici in alto e in basso, a destra e a sinistra.
La mazza o spadija era un ceppo cilindrico o quadrato di quasi mezzo metro di diametro o lato, spesso 15-20 cm e munito di un manico ricurvo. La faccia inferiore aveva una superficie dentata con sporgenze a forma di tronco di piramide. Veniva manovrata abilmente con un movimento ritmico, simile a quello del pendolo.

Terminata l’operazione di vagliatura la castagna doveva presentarsi senza la pellicina e questo significava che il lavoro era stato fatto bene.
Non sempre si usava battere le castagne con i sacchetti di tela di canapa. A volte si usava un grosso ceppo di castagno scavato al centro a mo’ di mortaio e si battevano dall’alto in basso con il pesta castegn: un apposito pestello di legno, verticale con una traversa per manopola, in fondo al quale erano conficcati dei chiodi che servivano appunto a rompere il guscio delle castagne.
Altre volte questa specie di mortaio era costituito da una grossa pietra scavata, la cosiddetta pila. Tuttora se ne trovano alcune in disuso anche nelle nostre frazioni, a volte utilizzate come fioriere.

Cernita delle Castagne
castagne biancheL’ultima operazione di cernita, eseguita in genere dalle donne, veniva fatta più tardi durante le sere autunnali, spargendo le castagne su grandi tavoli per selezionare le castagne a seconda delle dimensioni e dello stato di integrità dopo la pestatura, per eliminare quelle marce o intaccate dal verme che venivano date ai maiali o, bollite, alle mucche, e per togliere i residui di sansa (camisa).

Le castagne venivano anche passate in appositi setacci  a trame differenti appesi alle travi dei soffitti, per ripulirle definitivamente dai residui: quelle che avevano ancora il guscio o la pellicina interna dovevano essere battute un’altra volta.

Infine si mettevano da parte, riposte in apposite cassapanche, quelle bianche e grosse, divise in due parti a seconda della pezzatura in quanto quelle più grosse impiegavano più tempo a bollire.

Le “castagne bianche” erano il prodotto finale, pronte per essere utilizzate per tutto l’inverno: insaccate e vendute, andavano a formare la parte più consistente del misero reddito dei contadini, mentre, cucinate, ne costituivano la base alimentare.

La Farina di Castagne
macinatura castagneMacinate in mulini ad acqua con macine di pietra opportunamente scanalate, le castagne diventavano una farina da impiegare come succedaneo delle più costose farine di cereali nella preparazione di polenta, focacce, pasta e zuppe.
Generalmente la farina di castagne veniva adoperata aggiungendo acqua ed un pizzico di sale e dopo un’opportuna amalgamatura era pronta per i diversi tipi di cottura ed era ingrediente di base per molti piatti poveri tipici del Lario e, più in generale, di tutte le zone in cui il castagno è diffuso.

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IL SENTIERO DEL VIANDANTE
Cenni Storici

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 10:01 PM
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sdv gradini scavati nella rocciaL’attuale denominazione è stata coniata nel 1992 dall’Azienda di Promozione Turistica del Lecchese che ha riscoperto e sistemato, a uso turistico ed escursionistico, l’antico percorso che univa Lecco all’inizio della Valtellina utilizzando una dizione presente ad Abbadia e Mandello almeno dal 1859.
Quello che oggi chiamiamo Sentiero del Viandante era infatti originariamente un sistema viario non univoco, formato da sentieri chiamati con nomi diversi (via Ducale, via Regia, Strada dei Cavalli, via dei Viandanti, Napoleona) che collegavano localmente tra loro i vari borghi senza nessuna velleità di sviluppo viario unitario: i grandi traffici commerciali avvenivano infatti utilizzando la più comoda via lago, sfruttando i venti costanti che alla mattina spirano da nord verso sud e al pomeriggio in senso contrario.
Questo sistema di sentieri veniva invece usato dai viandanti, dal piccolo commercio locale, per piccoli spostamenti, come collegamento tra le varie roccaforti e torri di avvistamento dislocate a mezzacosta lungo il lago: infatti, fino all’inizio dell’Ottocento, la via migliore per raggiungere la Valtellina era considerata quella che da Lecco saliva a Ballabio, percorreva la Valsassina e raggiungeva Bellano, dove si ricollegava al percorso lungo la sponda del lago.

Nel 1606 l’ingegner Tolomeo Rinaldi fu incaricato dal governatore spagnolo del Ducato di Milano, il duca di Fuentes, di progettare una strada che unisse Milano al Forte di Fuentes, appena costruito vicino a Colico a difesa del confine con i Grigioni. L’ingegnere scartò l’ipotesi di sistemare la strada sulla sponda occidentale, ritenendola disastrata e troppo costosa da allargare per consentire il passaggio di un cavallo someggiato; scartò anche, a causa delle difficoltà dovute alla complessa orografia, l’idea di proseguire oltre Bellano lungo il percorso rivierasco e propose di seguire la via della Valsassina: che questa, tra Lecco e Bellano, fosse la via più facile, anche se non la più corta, è attestato anche dal fatto che fu scelta nell’autunno del 1629 dai Lanzichenecchi (28.000 uomini) al servizio dell’imperatore Ferdinando II d’Asburgo diretti, attraverso il Ducato di Milano, all’assedio di Mantova .
Il loro passaggio per queste terre è ricordato da Manzoni alla fine del capitolo XXVIII dei Promessi sposi: “Colico fu la prima terra del ducato, che invasero que’ demoni; si gettarono poi sopra Bellano; di là entrarono e si sparsero nella Valsassina, da dove sboccarono nel territorio di Lecco”.

Anche se non era considerata la migliore e  frutto di un progetto non unitario, una via di terra lungo la sponda orientale del lago di Como doveva esistere: lo storico Pietro Pensa la fa risalire all’epoca romana, ma secondo altri (ad esempio secondo Albano Marcarini) si tratta solo di una congettura. Nei documenti medievali dei comuni di Bellano, Dervio e Lecco (fine del XIV secolo) si fa riferimento a una strada pubblica costiera, ma si tratta, come dice ancora Albano Marcarini, di “citazioni frammentarie anche se interessanti”. Al 1606 risale il mai attuato progetto di sistemazione dell’ingegner Rinaldi. In alcuni documenti notarili del Settecento si fa riferimento, per un lungo tratto del percorso, a una via Regia o Ducale ma tale strada non è menzionata sui documenti cartografici dello stesso secolo (che però trascurano anche la Strada Regina). Durante l’epoca napoleonica (1796-1815) alcuni tratti dell’itinerario verranno sistemati o migliorati (da questo deriva il nome di Napoleona con cui la via è nominata in alcuni tratti).

Dopo la costruzione della strada militare lungo la riva del lago, inaugurata nel 1832, i vecchi percorsi perdono di importanza e cadono nell’oblio, per essere in seguito riscoperti, nella seconda metà del 1900, a scopo turistico.

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Fonti
Albano Marcarini, “Il Sentiero del Viandante”
APT Lecco, “Sentiero del Viandante”

Il Castagno

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 09:01 PM
aggiunto da admin

Specie Castanea Sativa, appartenente, insieme alle querce e ai faggi, alla famiglia delle Fagaceae.
Originario dell’Asia Minore e introdotto in Europa Occidentale dai Romani, è un albero longevo, alto in media dai 15 ai 20 metri, capace di raggiungere anche 30-35 m di altezza e 6-8 m di circonferenza.
E’ presente nelle regioni montuose temperate fra i 300 e i 1000-1200 metri, a seconda della latitudine. Amante del sole pieno, vegeta meglio in posizioni esposte a nord/nord-est poiché meno soggette ai periodi di siccità estivi e con minori escursioni termiche. Vive di norma in zone con almeno 30 mm di piogge nei mesi estivi: con meno precipitazioni la produzione può essere fortemente ridotta. Il castagno esige una temperatura superiore a +10°C per almeno sei mesi. Resiste, comunque, bene alle basse temperature invernali (anche –20-25°C).
Le foglie sono caduche, la forma è ellittico-lanceolata, dentate ai bordi, misurano da 8 a 20 cm in lunghezza e da 3 a 6 cm in larghezza.
La loro consistenza è piuttosto tenace, quasi coriacea.

Fiori Castagne
I fiori, riuniti in infiorescenze (amenti), sono formati da fiori unisessuali  che si evolvono solo a fogliazione completa; i fiori maschili sono portati in infiorescenze lunghe; i fiori femminili, solitari o aggregati in numero da 2 fino a 7, sono localizzati alla base delle infiorescenze e protetti da un involucro verde, squamoso, destinato a costituire il riccio.
La fioritura si verifica fra inizio giugno e metà luglio in funzione della latitudine e delle condizioni stagionali.  I frutti (acheni), sono generalmente 3 inclusi in un riccio spinoso. I laterali sono emisferici mentre quello centrale è appiattito per cause genetiche ed anche per la posizione all’interno del riccio.
Le castagne vuote sono dovute ad una cattiva impollinazione

CULTIVAR MARRONI: Caratterizzati da frutti grossi, di forma quadrangolare, in cui la pellicina (episperma) non penetra all’interno. Presentano anche un solo frutto per riccio.La buccia è marrone più o meno scuro con strisce evidenti.
CASTAGNE: frutti poliembrionici in cui la pellicina penetra all’interno. Di questo gruppo fanno parte numerosissime varietà che prendono nomi diversi, anche dialettali, a seconda della zona.
MARRONI FRANCESI: alcuni sono di probabile origine italiana per cui le caratteristiche salienti sono del tutto simili a quelle dei Marroni italiani.
CULTIVAR IBRIDE: ottenute per incroci fra le cultivar europee (principalmente francesi) e il castagno giapponese (C. crenata) e, più recentemente, cinese (C. mollissima).

Nella nostra zona si trovano :

Tempuriva o Augustana: Le prime vengono raccolte già in agosto pronte per la consumazione.Venivano raccolte quando la castagna era ancora chiusa nel riccio, la buccia era tenera e acerba. Venivano solitamente bollite con patate e semi di finocchio.
Caravina: E’ una delle più buone, dal gusto dolce.
Gualdàn: E’ una castagna di notevoli dimensioni che matura ovunque, ma non essendo innestata è di qualità scadente, non rilascia la pellicina ed è destinata al bestiame.
Marùn: E’coltivata nelle zone rivierasche, è di color marrone chiaro e di grosse dimensioni, è una delle più dolci e apprezzate.
Salvàdegh o salvadegòtt: E’ prodotta da alberi non curati né innestati ed è piccola, senza particolari caratteristiche ma molto saporita se mangiata abbrustolita.
Topia: Piccola, scura, adatta alla conservazione perchè resistente all’attacco dei parassiti.

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Abbadia: La Cappellania Rappi

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 07:01 PM
aggiunto da admin

madonna della cintura  - san lorenzoLe famiglie facoltose, nei secoli passati, fondavano nelle varie chiese del paese cappellanìe. Mettevano, cioè, a disposizione della parrocchia una certa quantità di beni immobili, dal cui reddito si traeva il necessario per celebrare delle messe sull’altare della cappellanìa, in suffragio dei defunti delle famiglie.
Contribuivano, così, al mantenimento di un sacerdote, visto che, per l’abbondanza delle vocazioni, in ogni paese ce n’era più d’uno.
Mercoledì 1 luglio 1705, davanti al Vescovo di Como Francesco Bonesana, mentre era papa Clemente, si presenta il chierico Bartolomeo Vaccani, procuratore di Antonio Rappi figlio di Arcangelo abitante nella parrocchia di S. Lorenzo dell’Abbadia, per chiedere di istituire per maggior gloria di Dio, della beatissima Vergine Maria dei Santi, per sostenere il culto divino in detta chiesa parrocchiale, e per pregare in suffragio delle anime del purgatorio, un beneficio sotto il titolo della Madonna della Cintura, riservandosi il diritto di patronato.
A causa di tale diritto la famiglia poteva eleggere in perpetuo il cappellano che maggiormente era di suo gradimento. Per ottenere quanto chiede allega numerosi documenti come ad esempio la stima dei beni che vengono messi a disposizione, le clausole che regolano la cappellanìa, una presentazione dell’arciprete di Mandello.
Da queste carte si ricavano alcune notizie curiose. La devozione alla Madonna della Cintura era molto diffusa. All’interno della chiesa Parrocchiale (attuale chiesa rotta) si trovava l’altare con la statua della Madonna, sul quale già vantava dei diritti Giuseppe Ambrosoni, della stessa parrocchia. Egli “pretende che la cappella ove presentemente resta collocata la statua della beata Vergine della Cintura sia di lui propria”. Si decide, allora, di celebrare le messe stabilite dal legato all’altare maggiore “sino a che resti eretto l’Oratorio fisso della B.V. della Cintura, che pensano quei parrocchiani d’erigere quanto prima”. E’ desiderio comune costruire una chiesetta dedicata alla Madonna della Cintura, che poi, in realtà, non verrà mai realizzata.
La famiglia Rappi sperava conferire la cappellanìa a qualcuno dei suoi discendenti, infatti una clausola dice: “essendo presentato, ed instituito a detto beneficio qualche chierico della famiglia, questo sintanto non sarà costituito nel sacro ordine del suddiaconato, non sia tenuto a recitare l’ufficio grande, ma solo l’ufficio della B.V. Maria”. Si concede una facilitazione ai chierici che si stanno preparando al sacerdozio, imponendo loro un obbligo meno gravoso, cioè la recita dell’ufficio della Madonna e non quello solenne. Chi è investito del beneficio, deve celebrare tre messe alla settimana per tutto l’anno. Vengono citate due confraternite: quella del SS. Sacramento e quella della Madonna della Cintura. Era il modo di allora per impegnarsi nell’apostolato dei laici. Ormai le cappellanie e il diritto di patronato sono spariti in nome di una maggior libertà e indipendenza del Vescovo nel governare la sua diocesi.

Fonte: Abbadia Oggi – 21 Gennaio 1994

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Abbadia: Le Campane della Chiesa di San Lorenzo

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 07:01 PM
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Campanile della Chiesa di Abbadia LarianaSiamo abituati a sentire il suono delle cinque campane della nostra chiesa parrocchiale nelle occasioni liete e in quelle tristi; forse ci siamo chiesti: quando sono state fuse? che tonalità hanno? Qualcuno dei più anziani si ricorda quelle esistenti precedentemente e il giorno della consacrazione del concerto; può darsi che esista anche qualche fotografia dell’avvenimento.
Spulciando in archivio, si trova il fascicolo che descrive le qualità tecniche e le iscrizioni incise sulle campane. Un verbale della Curia di Como dice: “Rendiamo noto che l’anno del Signore 1953, giorno 21 novembre S.E. Rev.ma Mons. Felice Bonomini Vescovo Diocesano ha consacrato due nuovi concerti di campane. Il maggiore destinato alla chiesa parrocchiale di S. Lorenzo, il minore alla chiesa del S. Cuore sui Piani Resinelli… Col parroco locale M.R. Sac. don Giovanni Zaboglio erano presenti i Reverendi Sacerdoti del Vicariato di Mandello: don Bernardo Cusini parroco di Olcio, l’Arciprete Vic. For. di Mandello Sac. Giuseppe Castelli, il Sac. Mario Galli Vic. Coop. della parrocchia del S. Cuore, Sac. Lorenzo Beretta Vic. Coop. di Mandello, Sac. Marco Gherbi parroco di Lierna col suo Vic. Coop. Sac. Broggi Francesco”.
La ditta che fuse le campane aveva sede in Valtellina: Giorgio Pruneri di Grosio. Nel suo timbro si dice che venne fondata nel 1822. I documenti di allora furono firmati dal Dott. Ing. Paolo Pruneri. Egli afferma che il concerto di cinque campane è in tono Re Internazionale. Come testimoniano i maestri Sac. Domenico Gadola e Sac. Mario D’Amato la prima campana risponde alla nota Re, la seconda al Mi, la terza al Fa diesis, la quarta al Sol, la quinta al La.
Tutte hanno un timbro di voce squillante e pastosa. Il peso complessivo è di kg. 3.702. Ogni campagna è dedicata a dei santi e porta delle iscrizioni con frasi latine augurali e il nome dei donatori.
Sulla prima campana di kg. 1.286 si legge: Rex Regum et Dominus Dominantium (Re dei Re e Signore dei Signori) – Pio XII Pont. Max., Felice Bonomini com. Eccl. Ep., Joannes Bapt. Zaboglio Par. Sufficiendum curavit, anno Mariae MCMLIV – Comm. Carlo Fiocchi, Pia Fiocchi, Alberto Locatelli. E’ dedicata a Cristo Re.
Sulla seconda di kg. 918,500 è scritto: Assumpta est Maria in coelum: gaudent angeli. Nelida Rainoldi, Guido Cima. E’ dedicata alla B.V. Assunta, a S. Agnese, a S. Maria Goretti, a S. Teresa.
Sulla terza di kg. 641,500 si legge: Venite justi in adiutorium populi Dei (Venite giusti in aiuto del popolo di Dio). Giulia Vaccari, Giovanni Morassuti. E’ dedicata a S. Lorenzo, a S. Antonio Abate, a S. Antonio da Padova, a S. Giorgio. Sulla quarta di kg. 496,500 è scritto: Veni sponsa Christi et coronaberis (Vieni sposa di Cristo e sarai coronata).
Concetta Zani, Luigi Canali. E’ dedicata a S. Eurosia, al S. Cuore di Gesù, al S. Cuore di Maria, a S. Giovanni Battista.
Sulla quinta, di kg: 359,500 si legge: Da mihi animas cetera tolle (dammi le anime, toglimi le altre cose). Amelia Donini, Mario Canali. E’ dedicata a S. Giovanni Bosco, a Maria Ausiliatrice, a S. Giuseppe, a S. Domenico Savio.

Fonte: Abbadia Oggi, 21 Novembre 1989

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Abbadia: La Madonna della Cintura nella Chiesa di San Lorenzo

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 06:01 PM
aggiunto da admin

madonna della cintura  - san lorenzoLa spiritualità agostiniana è testimoniata nella parrocchia di Abbadia anche dalla devozione alla Madonna della Cintura.
Due feste sono particolarmente care alla nostra popolazione: S. Apollonia il 9 di febbraio e la Madonna della Cintura la prima domenica di settembre.
Nella chiesa parrocchiale, nell’altare laterale di destra, si conserva un’elegante statua della Madonna con Gesù Bambino in braccio, che una volta all’anno viene esposta in un bellissimo trono e portata in processione nella prima domenica di settembre. Appesa alla mano di Maria e del Bambino vediamo una piccola striscia di cuoio, è la cintura che dà il nome alla festa. Spiegava don Raspini nel bollettino “La voce del Pastore” del settembre 1937: “Ci sappiamo allora dare una ragione di quella striscia di cuoio che tiene in mano la Vergine nella bella statua che veneriamo, e del fatto che mentre i confratelli delle parrocchie vicine si cingono i fianchi col solito cordone, da noi portano invece la cintura di pelle”. Il motivo è di tipo storico. I Servi di Maria, dei quali è nota la pietà verso la Vergine, avendo ereditato dagli eremiti di S. Agostino la devozione alla Madonna della Cintura, l’hanno introdotta nel nostro paese. Questa tradizione fa riferimento anche alla Madonna Addolorata (che si venera ai Campelli) o alla Madonna della Consolazione. La storia dice che la Vergine abbia consegnato la cintura a S. Monica, afflitta per morte del marito e per la vita sregolata del figlio Agostino non ancora convertito. La madre del crocifisso consola la madre di un giovane che si è incamminato sulla via della perdizione. In ogni epoca ci sono delle persone addolorate per vari motivi, che si possono rivolgere con fiducia a Maria per avere conforto e consolazione. La citura è simbolo di appartenenza alla Madonna e di una vita corretta e virtuosa, piena di fede, di giustizia, di fortezza e di purità. Come dice ancora don Raspini nel bollettino del settembre 1935, la statua in legno che veneriamo nella chiesa parrocchiale è antichissima e di squisita fattura ed era già presente nella vecchia chiesa ora conosciuta come “Chiesa Rotta”. Venne fatta restaurare da don Giovanni alla fine degli anni 70 ed ora si presenta a noi nella sua bellezza originale. La Madonna, in piedi, si erge come una figura ieratica, avvolta da un ampio ed elegante panneggio. Il velo è bianco, la veste rossa, il manto azzurro, entrambi con ricami dorati. Dalla mano protesa verso i fedeli pende la cintura, mentre con l’altro braccio sostiene il bambino, che a sua volta sorregge un piccolo mappamondo sormontato dalla croce. Tutta la statua è sorretta da una nuvola da cui sbucano tre cherubini.

Fonte: Abbadia Oggi – 21 Gennaio 1991

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Abbadia: Il Battistero della Chiesa di San Lorenzo

domenica, Gennaio 1, 2012 @ 06:01 PM
aggiunto da admin

battistero san lorenzoNel 1989 venne costruita l’attuale fonte battesimale ad opera dello scultore Fulvio Simoncini, che proprio in nell’anno precedente (1988) era stato apprezzato dai critici e dalla popolazione per il monumento alle vittime della violenza, che si vede passando da Pescate, vicino alla chiesa.
La fonte è di forma esagonale e sostiene una vasca circolare: due figure geometriche semplici, ma classiche, simbolo di perfezione. L’idea teologica guida è la seguente: il Cristo è il Salvatore di tutti gli uomini, lo Spirito Santo ha guidato Maria, Elisabetta, Giovanni il Battista, Gesù, i suoi discepoli e continua a santificare tutti i battezzati. In sei formelle pulite ed essenziali, ma plastiche e piene di sentimento, lo scultore fa passare tutto il mistero della salvezza secondo la rivelazione cristiana. La storia del mondo è cambiata per la nascita di Gesù: “Et Verbum caro factum est”. L’imperatore romano sembrerebbe attirare l’attenzione di tutte le genti, delle folle, ma la sua gloria cade in rovina, mentre continua a vivere il Cristo nato nel nascondimento e nell’umiltà. Quando Maria fa visita ad Elisabetta, il bambino che deve nascere da lei ha un fremito, ed ella, ripiena di Spirito Santo, esclama: “Benedictus fructus ventris tui” Benedetto il frutto del tuo seno. Maria, in ginocchio come un’umile serva, confessa e proclama che quanto sta avvenendo in lei è opera di Dio ed eleva a Lui il cantico del Magnificat. La quarta formella (nella foto) raffigura Giovanni Battista che indica ai suoi discepoli e alle folle Gesù: “Ecce Agnus Dei”. Egli dice che ha visto lo Spirito di Dio scendere come colomba dal cielo e posarsi sopra il maestro che sta cominciando la sua vita pubblica di annuncio del Regno. Nel momento del battesimo di Cristo, il cielo si apre, si manifesta ancora lo Spirito di Dio che, come una colomba, si posa su di Lui. E dall’alto viene una voce: “Tu es filius meus dilectus” Tu se il mio figlio che amo. Infine il mistero del Salvatore si conclude con la morte in Croce, che tuttavia fa intravvedere la risurrezione: “Oportebat Christum pati et resurgere” Era necessario che Gesù soffrisse e risorgesse. Lo scultore, con una modellazione delicata e una luce quasi soffusa, descrive il messaggio che vuol comunicare in maniera chiara, ma nello stesso tempo molto lascia sottintendere, soprattutto con gli sguardi delle donne in procinto di diventare madri, o con le figure ieratiche del Battista. Le folle, appena abbozzate, col loro gioco di ombre e di luci, danno il senso dell’intuizione del mistero, che tuttavia diventa comprensibile e luminoso solo nella meditazione personale.

Fonte: Abbadia Oggi – Anno VIII – N 6 21 Novembre 1989 

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